Simposio
IL VIAGGIO DELLA CONOSCENZA
«L'anelito costante dell'essere umano di guardare all'esterno e all'interno di sé stesso» GdF
Viaggiare nel mondo... ma quale mondo, con quali mezzi? Il primo viaggio è sempre quello del nostro pensiero che spazia in lontananze siderali o in microscopiche profondità, fuori o dentro di noi. A volte vorremmo andare all’altro capo del mondo, ma per alcuni non serve andare tanto lontano. Qualunque esso sia ogni viaggio è la poesia che nasce spontanea: il ritmo che gli dà voce, che fa scaturire l’emozione e lo rende possibile anche nel silenzio e nella solitudine, che ci spinge in paesi lontani alla ricerca di nuovi suoni o colori, che apre l’immaginazione per avventurose esperienze anche nel chiuso della propria stanza. Viaggi nei ricordi, per recuperare sensazioni e sentimenti che giustifichino quello che siamo ora. Guardarci intorno, mettersi all’ascolto delle tante realtà. Essere coinvolti da quel movimento della vita che ci avvolge e a volte ci sconvolge. Il quotidiano viaggio di noi stessi per cercare di sintonizzarci con tutti gli altri che si muovono con ritmi diversi, per rendere possibile un’armonia. Come può essere realizzato questo desidero di armonia nato da incontri ideali e reali per poter condividere questo Viaggio della conoscenza?
Il Quaderno appena pubblicato racconta il “Viaggio” che abbiamo fatto ognuno di noi insieme agli Amici di Firenze. Un Viaggio che può essere espressione dei sentimenti di noi Tutti che vogliamo collaborare INSIEME.
Giuliana
OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
ELLISSI
modi, detti popolari e tradizioni
di Giancarlo Marchesini
Piove, governo ladro! Sono anni, decenni, che non sento più pronunciare questa frase. Essa fa parte di un’Italia che non esiste più, in cui c’era un solo governo“possibile” (che succedeva a se stesso dopo essere caduto) e un solo canale RAI. Un paese in cui tutti quanti si arrabattavano per un piccolo posto al sole. Erano gli anni del dopoguerra, quello magistralmente illustrato dal cinema del neorealismo e da quello, un tantino più disincantato degli anni ’60 (Il sorpasso, La congiuntura). Si cercavano (e ottenevano) raccomandazioni per trovare un posto fisso al proprio figlio. Spesso poi il posto cadeva dall’alto, senza che nessunoavesse mosso una sia pur minima leva per conferirlo, ma il cestino di Pasqua o Natale veleggiava comunque verso casa dell’Eccellenza che avrebbe dovuto promuovere / ottenere la sospirata assegnazione. Tutti sapevamo che i politici (appunto il governo) ricavavano benefici e privilegi dalla loro posizione ma non smodatamente. In fondo anche loro erano padri di famiglia, avevano mutui da pagare, rate per la macchina, figli da crescere e da mandare all’università e così via. E l’Italia giocava alle carte e parlava di calcio nei bar, recita una vecchia canzone di Giorgio Gaber. Questa connivenza e acquiescenza con l’operato della classe dominante era il nostro modo per celebrare la Prima Repubblica.
Mi servo di questo incipit, tra lo stucchevole, l’amaro e il provocatorio, per spiegare il valore retorico della frase “incriminata”. Piove, governo ladro è in realtà un’ellissi, una frase alla quale, come in alcuni rebus, mancano alcune parole chiave che spiegano il risultato finale. In sostanza parliamo dell’effetto senza esplicitarne la causa. Se volessimo sciogliere il rebus e rendere la frase comprensibile sotto il profilo logico dovremmo dire: sta piovendo e siccome in Italia il governo è la causa di tutti i mali e delle ruberie, allora “piove governo ladro”.
Ma nella nostra frase si cela anche una venatura di divertita simpatiaun “volemose bene” tipicamente italiano: prima di tutto perché il fatto che il governo arraffi soldi per i suoi membri e sodali non può ragionevolmente avere influsso sugli eventi atmosferici e in fin dei conti perché tutto quello che causa questa disonestà è soltanto una pioggerella e non terremoti, devastazioni, tsunami o bombe d’acqua. Lascio ai miei lettori fare il confronto con la realtà odierna. Oggi i governi non sono ladri, o lo diventano, perché piove e la pioggia non è un’epifania della loro disonestà.
Di ellissi in ellissi: È morto il re, viva il re! Certamente non stiamo augurando lunga vita al re appena morto, sarebbe una contraddizione in termini. Con questa frase celebriamo la saldezza immutabile della Corona. La Corona è un’istituzione che prescinde dagli esseri umani che la rappresentano, la Corona ha un valore di per sé, indipendentemente dall’erede o dal successore che si trova ad essere nominato re. Da una parte (governo ladro) abbiamo un’Italia che ha ‘tragicamente’imparato a sorridere di se stessa, dall’altra (è morto il re, viva il re) paesi europei con un’innegabile tradizione democratica che vedono nella monarchia costituzionale un simbolo da proteggere e custodire gelosamente affidando addirittura a Dio la funzione di mallevadore: Godsave the Queen / King.
In entrambi i casi l’ellissi è un modo sottile e in un certo senso spregiudicato per definire la realtà in termini più pregnanti dell’intera frase logicamente svolta. Ogni ascoltatore o lettore ha l’impressione di capirne il significato immettendo farina del suo sacco, il suo piccolo granumsalis. E quello che c’è di bello nell’ellissi è che ognuno di noi la svolge secondo la teoria della pertinenza (Dan Sperber, Deirdre Wilson, Relevance: Communication and Cognition, 1986). Comprendiamo le cose secondo i nostri assunti, le nostre categorie, il nostro background e non secondo verità fisse e aristotelicamente scolpite nel granito. Che ognuno di noi capisca “piove governo ladro” e “è morto il re viva il re” come più gli è congeniale e non secondo i dettami impartiti dai retori dell’antichità o dagli influencer di turno.
L’ellissi è bella perché è varia!
YOUNG SOPHIA
Il pensiero dei giovani
Il SETTECENTO E LA MUSICA/17
di Gianluca Farulla
(La Sapienza Università ex allievo L. M. Chris Cappell College)
Immanuel Kant Muore il 12 febbraio 1804 a Königsberg
In questa cittadina nacque e visse tutta la sua vita.
In queste puntate a lui dedicate, il mio impegno è stato quello di trasmettere, nel modo più semplice possibile, il suo pensiero di filosofo in relazione alla sua idea di musica. Kant ci fornisce infatti un nuovo concetto dell’arte dei suoni alla luce delle speculazioni filosofiche illuministiche.
Per la prima volta nella storia dell’umanità, la musica è oggetto di attenzioni che la pongono in posizioni di assoluto rilievo nella dialettica storico culturale con le altre arti.
Con Kant si “sviluppano” i pensieri e si definiscono i diversi ruoli umani indispensabili alla musica: quello dell’utenza ormai allargata, con l’apertura dei teatri europei alla nuova borghesia, quello della figura del compositore-creatore (che troverà in quella beethoveniana la declinazione più significativa) e quello dell’interprete ormai avviato a funzione protagonista che caratterizzerà il futuro romantico dell’arte.
Con questa ultima puntata volge al termine il mio breve ciclo di appuntamenti dedicati a Kant e alla musica. Vi saluto con la speranza di aver destato in voi lettori il desiderio di conoscere, attraverso le sue opere, uno dei più grandi pensatori dell’umanità.
IMMANUEL KANT/8 (1724-1804)
Capostipite dei filosofi della musica
Kant esamina insieme le diverse categorie di Bello, di Arte e di Estetica in tutte le espressioni artistiche in generale, compresa la musica. Pertanto le diverse manifestazioni dell’arte risultano essere interconnesse tra loro e ciò rende a volte difficoltoso definire lo specifico del suo pensiero estetico musicale. Egli, comprende la potenzialità della musica di esprimere una molteplicità di linguaggi che s’intrecciano tra loro, sia sotto l’aspetto formale della composizione, sia nelle significazioni fruite dall’ascoltatore. C’è il linguaggio interno alla composizione, con le diverse regole tecnico-compositive adottate dal compositore attraverso una “sintassi” organizzativa delle possibili combinazioni melodico-armoniche dei suoni dove tutto ruota intorno ad una idea tematica e c’è il linguaggio delle idee estetiche di natura allusiva che può estendersi all’intellettuale del pensiero per far nascere la riflessione culturale e la formazione del sentimento morale.
Analizzare la musica in termini speculativi.
Kant fu il primo a farlo per una ragione ben precisa: sono ormai maturi i tempi per una riconsiderazione della musica sotto il profilo sociale-economico. La produzione musicale si sta svincolando dalle modalità gestionali del passato. Si genera un nuovo pubblico che non è più quello ristretto delle corti europee. L’impresariato musicale costruisce nuovi teatri per una nuova classe sociale che si sta imponendo con la rivoluzione industriale. Ne detta costi e profitti inaugurando il significato moderno di “concerto pubblico” (quello che Paganini imporrà su i più importanti palcoscenici europei).
La musica a questo punto, alla pari delle altre arti, necessita di una indispensabile attenzione speculativo-filosofica che trova nel sommo pensiero di Kant tutto il suo riscontro. Le sue analisi così coerenti e razionali, se possono apparire in contrasto con le teorizzazioni del nascente spirito romantico che esalta l’esuberanza del sentimento, ne anticipano invece l’elemento specifico in quella parte della sua critica che giustifica la libertà dell’impulso creativo nel “genio” e l’irrazionale sentimento del “sublime”.
La sua speculazione distribuita nelle tre “Critiche” fu una vera e propria “rivoluzione copernicana”. Preparò il terreno per una nuova era del pensiero filosofico liberato da dogmi metafisici e superstizioni metafisici del passato.