Al parco Giovanni Palatucci ricordato il Giorno della Memoria
Vittime della Shoah
Come in tutta Italia, il 27 gennaio scorso è stato il ‘Giorno della Memoria’ per ricordare tutte le vittime della Shoah, per lo più Ebrei, grandi e piccoli uccisi nei campi di sterminio. Si è scelta la data del 27 gennaio perché proprio in quel giorno nell’anno 1945, le truppe russe della 60a armata del 1° fronte ucraino del maresciallo Ivan Konev aprirono i cancelli del famigerato campo di sterminio di Auschwitz filmando gli orrori perpetrati dai nazisti e voluti da Hitler: lo sterminio sistematico della razza ebraica. Vi trovarono 9.000 prigionieri pelle ed ossa, prossimi alla fine. Anche Nettuno ha voluto rendere omaggio a tali vittime.
La cerimonia si è svolta al Parco intitolato a Giovanni Palatucci, voluta dai Commissari Prefettizi: Reppucci, Infantino, Giallongo.
Alle ore 11:00 sono arrivate le scuole invitate: gli studenti dell’Istituto Santa Lucia Filippini e dell’Istituto ‘Emanuela Loi’. Erano altresì presenti le Autorità militari e civili di Nettuno nonché Mario Sonnino Hazanim dell’ufficio rabbinico della comunità ebraica di Roma.
Nell’occasione gli studenti hanno piantato un ulivo presso la targa che ricorda l’intitolazione del Parco al Questore Palatucci nominato ‘Giusto tra le Nazioni nel 1990’ per aver salvato migliaia di vite umane mentre prestava servizio a Fiume, finché la Gestapo scopertolo, lo catturò ed internò nel campo di Dachau dove morì di stenti a soli 39 anni.
La Repubblica Italiana lo insignì della Medaglia d’Oro al merito civile nel 1995. Nel 2004, conclusosi il processo di canonizzazione, è stato proclamato ‘Servo di Dio’.
L’ulivo, simbolo di pace, di cui al giorno d’oggi si sente tanto bisogno, rappresenterà tangibilmente i bambini uccisi nei campi di sterminio e ci farà riflettere sul tempo che stiamo vivendo in cui sembrano riaffiorare l’antisemitismo, il negazionismo, l’odio razziale.
Rita Cerasani
La pandemia ha messo a nudo le carenze della medicina del territorio
Abbiamo una sanità stressata
Ci siamo illusi per decenni di avere il sistema sanitario migliore del mondo o quasi, poi lo stress test della pandemia ha messo in evidenza tutte le criticità di un ‘organizzazione che ha nell’universalità del servizio il maggiore pregio ma che appare oggi decisamente poco efficace e che necessita di una radicale ristrutturazione. La lunga emergenza pandemica e la sua gestione approssimativa nella fase più acuta hanno messo in evidenza una forte carenza della cosiddetta medicina di territorio o di base. Si ha avuto da subito l’impressione che una gravissima emergenza globale venisse solo trattata in modo verticistico e che le fasi preliminari della malattia dovessero essere affrontate nel contesto cosi variegato e non sempre facile della famiglia. Una pandemia, che è l’evento sanitario più invasivo a livello sociale, sembrava dovesse avere tutte le sue soluzioni a livello dell’ospedalizzazione e delle terapie intensive. Sta di fatto che i maggiori danni, in termini di malati e di decessi, sono stati subiti dalla Lombardia che rappresenta il polo sanitario ospedaliero pubblico e privato di eccellenza nazionale.
Una gestione politica di assoluta mediocrità, un’organizzazione regionale assolutamente criticabile, alcune persone sbagliate al posto sbagliato hanno dato all’Italia il triste primato mondiale del numero di decessi rapportati alla popolazione. Ed il sistema di assistenza sanitaria universale ha scricchiolato drammaticamente dando vita ad atti di estrema abnegazione ed a casi di vero e proprio abbandono di servizio essenziale, nell’ambito del capillare servizio di assistenza primaria sul territorio. Ai casi eroici di medici di base, che hanno dato la vita contaminandosi dai propri assistiti, hanno corrisposto medici che si sono praticamente resi irreperibili lasciando assistiti e pazienti contagiati nel caos e contribuendo all’intasamento dei pronto soccorso. E’ mancata una drastica mobilitazione da stato di guerra, sono mancate istruzioni adeguate, sono stati assenti i giusti livelli di coinvolgimento, insomma l’organizzazione di primo impatto è stata coinvolta a livello individualistico ed in modo individualistico ha cercato di dare risposta.
La pandemia non è passata ma non mette più paura, per cui è tempo di dare ordine al sistema di assistenza sanitaria di base. Chi è il cosiddetto medico di base? il medico di base è la figura di collegamento fondamentale tra cittadino e servizio sanitario ed ha ruolo essenziale sia nella prevenzione delle malattie sia nella terapia di patologie in corso. E’ un medico privato che opera in convenzione con il SSN nell’assolvimento delle sue funzioni di assistenza generale. Ma quali sono i suoi doveri?
- tutelare la salute dei propri pazienti mediante attività di diagnosi, terapia, riabilitazione, prevenzione a livello del singolo individuo e della sua famiglia, e di educazione sanitaria;
- garantire livelli essenziali e uniformi di assistenza, soddisfacendo i bisogni sanitari dei pazienti sia nell’ambulatorio sia al domicilio del paziente;-
- contribuire allo sviluppo e alla diffusione della cultura sanitaria e alla conoscenza del Servizio Sanitario Nazionale e Regionale;
- aderire a specifiche campagne promosse ed organizzate dalle Regioni e/o dalle Aziende Sanitarie.
Questi in breve sintesi i doveri del medico di base ma scarsissimi sono i dettagli che ne concretizzano l’attuazione. Faccio un esempio: un medico di base può esercitare da solo o in studio con altri sanitari, può mettere a disposizione un servizio di reperibilità ed un servizio di segreteria oppure può essere praticamente non reperibile se non nell’orario di ricevimento, può disporre di una grande e comoda sala di attesa o esercitare in un bugigattolo. E poi il rebus delle visite a domicilio, aspetto che rappresenta la ragione più segnalata di disservizio e di insoddisfazione da parte delle rilevazioni dell’osservatorio di Cittadinanza Attiva. Secondo la normativa vigente e quasi sconosciuta all’assistito: “l’attività del medico si svolge nel suo studio, l’ambulatorio. La visita domiciliare è una richiesta legittima solo in caso di “non trasferibilità” dell’ammalato, ovvero se il paziente è talmente in un cattivo stato di salute da non poter andare in studio e che la visita sia urgente.” Norma talmente vaga e, per alcuni aspetti, vessatoria da subordinare la visita a domicilio alla magnanimità del medico, Stabilire il “cattivo stato” patologico e l’urgenza di un intervento medico è materia del tutto aleatoria che mette a confronto la visione del malato e la competenza del medico e che può portare al diritto del medico ad essere retribuito nel caso che la visita domiciliare venga richiesta per casi in cui il cattivo stato non è dimostrato. Mi domando se in una fredda giornata di dicembre un paziente con febbre alta, ma in totale condizione di muoversi, sia obbligato a recarsi allo studio del proprio medico per essere visitato e magari dover attendere all’aperto per un paio di ore per ricevere assistenza. In occasione di un forte attacco di sciatalgia immobilizzante a me è stato risposto, dal mio medico di base, di chiamare il pronto soccorso. Ho chiamato il pronto soccorso e mi hanno detto di rivolgermi al medico di base; alla fine ....ho chiamato un medico privatamente ed ho cambiato medico di base.
Naturalmente esiste la possibilità di fare reclamo: ma chi è quel paziente che fa un reclamo contro il medico che lo cura? Quindi l’universalità del sistema di assistenza, che poi è spesso totalmente gratuito per falsi indigenti ma richiede forti contribuzioni ai soliti noti, deve essere radicalmente rivisto e reso più uniforme e di semplice fruizione. Un sistema di primo impatto che non deve servire solo da tramite per accedere a visite specialistiche o per ottenere la prescrizione di farmaci ma restituire quello che una volta era il medico di famiglia, nell’accezione più socialmente significativa. Un medico che va a distribuire tranquillità e presenza presso il capezzale del malato e che basta chiamarlo per parlare con lui o con lei. Questo può comportare la revisione dei livelli di retribuzione ed assunzioni di nuovi medici ma, nella riorganizzazione generale del sistema sanitario inteso come entità nazionale, può essere economicamente conveniente perché riduce il costosissimo intervento ospedaliero e, quello che più conta, potrà garantire un livello adeguato di assistenza e l’eliminazione di sacche di inefficienza e di iniquità sia nella fase di gestione ordinaria ed ancora più in quella di emergenza sanitaria.
Sergio Franchi