Nettuno, negli anni ’30 contava circa diecimila abitanti e questo numero potrebbe far pensare ad una grande città, in effetti il paese era in crescita, tuttavia i residenti nettunesi erano quasi tutti concentrati al centro – dal Belvedere alle Sirene - e all’interno del borgo medievale. Insomma, come nei piccoli centri, ognuno sapeva i fatti dell’altro. C’era poi chi era più attento agli avvenimenti e conservava nello scrigno della sua mente i ricordi più preziosi.
Tra questi si può considerare il nettunese Otello Della Portella, nato in via della Libertà, classe 1920, da Cesare, detto Augustarello, e Argia Cicco. Quando una mattina d’estate del 2000, gli chiedemmo se ricordava quella signorina che tutti chiamavano «l’Americana», non esitò a rispondere - mentre era appoggiato con la schiena sulla parete della gelateria “Colalucci” in piazza del Mercato, con l’immancabile sigaretta tra le dita. “Era di origine ebrea, una donna alta – esordì Otello – impettita, in testa portava sempre un cappello a larghe tese; girava per Nettuno in bicicletta, facendosi rumorosamente largo con una trombetta a soffietto che sostituiva il campanello sul manubrio”. Detto questo fece un tiro con la sigaretta e ci salutò.
Attraverso un documento scritto dalla nipote dei custodi della “Villa Americana” Giovanna Nappi, abbiamo scoperto tracce di storia di questa famiglia. Intanto la signorina americana si chiamava Anita de Leftwich Dodge di lei si sa che aveva un fratello di nome William (un artista americano noto soprattutto per i suoi murales, commissionati sia per edifici pubblici che privati). I custodi della villa erano Giovanni Fiorentini (che aveva vissuto in America) e Agata Cenci, i quali da Roma si trasferirono a Nettuno.
Si racconta che personaggi famosi frequentassero la villa, soprattutto cantanti di opere musicali: i tenori Giacomo Lauri-Volpi (che era di Lanuvio) e Beniamono Gigli, tra gli altri.
Anita de Luftwich era una bravissima pasticciera e trascorreva molte ore a preparare dolci e torte. Insegnò quest’arte anche a Anna, la mamma di Giovanna. La cucina era una delle tante stanze della villa, costituita da un complesso di fabbricati in stile coloniale a due piani. Al piano terra c’era una grande sala che dava sul giardino dal quale si snodavano vari vialetti. Da uno di questi viali si arrivava ad una cappelletti, dove di solito «l’Americana» andava a pregare. Con le mareggiate e il cedimento del dirupo la cappelletta finì in mare. Si racconta anche che il fratello pittore e creatore di essenze profumate - che in America andavano a ruba - quando veniva a Nettuno era solito affacciarsi alla finestra che dà sulla strada (l’attuale via della Liberazione), e lanciare i dollari alla gente che sapeva di questo rito.
Come il fratello William, anche Anita «l’Americana» era brava a dipingere, in uno di questi è ritratta Flora, la zia di Giovanna. Sappiamo anche di un ritratto fatto alla giovane nettunese Giuliana Cibati (che sposò poi Angelo Andolfi). Quasi tutti questi quadri andarono perduti o trafugati quando «l’Americana», dovette abbandonare Nettuno e la sua villa, a causa delle leggi razziali del 1938 e la guerra dichiarata nel 1940. Il caseggiato divenne quindi una specie di caserma dei soldati addetti alla difesa costiera.
Dopo la guerra, i genitori di Giovanna Nappi furono contattati dai nipoti di Anita «l’Americana», per riprendere la loro proprietà. Il papà di Giovanna però non accettò la proposta perché la villa aveva subito gravi danni e soprattutto era stata occupata da famiglie le cui abitazioni erano state distrutte dai bombardamenti.
Nel 1960 – scrive Giovanna Nappi – con Atto del Vice Console d’Italia a New York, i nipoti Frederick, Roger e Sara, vendettero la proprietà ai signori La Rocca e Agresti, i quali successivamente la cedettero alla società “Ottolini Immobiliare”.
Silvano Casaldi
Daniela Domignoni