S i m p o s i o
LIBERO INCONTRO ARTISTICO CULTURALE
Giuliana Bellorini
Coordinatrice corrispondente
del salotto sede del Simposio
ITALIA POESIA CHIAMA N° 8
È il nostro omaggio, un “saggio finale per riconfermare degli ideali in cui credono gli amici del Simposio gemellati con gli Amici di Firenze: “[…] per riappropriarci del bisogno originario dell’essere umano di essere compreso nella sua specificità culturale così apparentemente diversa”.
Frutto di esperienze personali offerte per questa piccola antologia, una specie di diario-coro a più voci, che in questi anni si è sempre più allargato e approfondito.
Molteplici sono gli spunti degli autori di queste pagine.
Sono pensieri nati da una lettura, da una notizia di cronaca o meglio ancora dall’incontro non solo del nostro amico a pochi passi di distanza, ma anche di quello che abita al di là di una frontiera, per con-dividere e dare senso, ma soprattutto dignità, alla nostra aspirazione di unione autentica con il prossimo.
Giuliana
MUSICA
E
POESIA
AL
SIMPOSIO
Solo l’amor
Distratti,
attraversiamo un breve e tortuoso sentiero.
Tormentati anche inutilmente
ci dirigiamo verso il tramonto rosso.
Nessun bene materiale
varcherà la soglia dell’ignoto.
Soltanto un edificio fatto delle nostre azioni
ci accompagnerà.
E non basterà.
Solo l’amor forse
dalla morte ci farà salvi.
Nell’incontro di Domenica 3 Novembre a cura della poetessa Maria Grazia Vasta è stata presentata la raccolta “Solo l’amor” di Vincenzo Corsi professore di contrabbasso e musica da camera coadiuvato dai suoi allievi del Liceo musicale “Chris Cappell College” di Anzio.
“Solo l’Amor” (vedi Il Litorale N. 19) è una raccolta di Poesie suddivisa in sezioni: Morale, Paesaggi, Vissuti dove il senso civile e morale di concerto con la percezione del profondo e la sensibilità poetica dello scrittore viene fuori, affiora, come giovane pianta nei suoi versi arrivando in maniera diretta e semplice ma al contempo intensa all’ascoltatore. L’artista stesso ha composto le musiche che hanno accompagnato le sue poesie suonando personalmente il contrabasso insieme al musicista Simone Santalucia alla chitarra e recitate da Maria Grazia come sempre all’altezza del suo compito.
I giovani musicisti arrivati a sorpresa hanno contribuito ad allietare ancor più il pomeriggio poetico,
musicale del Simposio offrendoci intermezzi di musiche popolari e brani di Johannes Brahms e Fryderyk Chopin.
E per tutti, meritati gli applausi da parte del numeroso pubblico presente, applausi che hanno riscaldato la piccola Chiesa delle Suore Agostiniane dedicata alla Madonna della Fiducia e il cuore di tutti gli artisti che hanno lavorato per la riuscita dell’evento. Un evento sicuramente da riproporre.
Maria Luisa Petroni
OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
Occhio agli occhi chiusi
di Giancarlo Marchesini
Viaggio nel cinema tradotto. Cari lettori, vi chiederò di accompagnarmi oggi in una riflessione sulle difficoltà di traduzione dei titoli cinematografici. Lo spunto mi viene da un film di Stanley Kubrick (rivisto, credo, per la quarta volta). Inutile presentare Kubrick, i suoi film restano impressi nella memoria di critici e cinefili: basti pensare a Lolita, Il dottor Stranamore, 2001 - Odissea nello spazio, Arancia meccanica, Shining e, da ultimo (1999) Eyes Wide Shut il cui titolo, che costituisce di per sé un ossimoro, ha fatto scattare questa riflessione.
Un ossimoro. L’espressione inglese eyes wide open può essere agevolmente tradotta con “occhi ben aperti”. Ma la versione scelta da Kubrick recita esattamente il contrario: gli occhi non sono ben aperti ma chiusi (shut). L’una parola contraddice l’altra. Da un punto di vista stilistico l’ossimoro si fonda su due elementi in palese contraddizione, un po’ come quando diciamo silenzio assordante, lucida follia o illustre sconosciuto.
Il genio di Kubrick. Il senso dell’ossimoro di Kubrick è racchiuso nella mente geniale del regista: due agiati newyorkesi, medico di successo lui, gallerista mancata lei, si trovano invischiati in una sordida vicenda collegata a una messa nera a sfondo orgiastico (scandita da una lancinante sequenza musicale in re minore, talvolta con note dissonanti). Scampati al pericolo (si piegano alle forti pressioni di personaggi che detengono il potere), concludono che la soluzione migliore sarà tenere gli occhi ben chiusi, dimenticare tutto, non cadere nella tentazione di fantasie sopra le righe (Tom Cruise) o deliranti (Nicole Kidman) e concentrarsi sul benessere e sul quieto vivere della propria famiglia.
La distribuzione del nostro paese si è ben guardata dal proporre una versione italiana del titolo: nelle sale, il film è stato presentato come Eyes Wide Shut.
Tempi andati. Anni fa, c’era la tendenza a tradurre tutti i titoli, talvolta in modo ben lontano dall’originale: Et Dieu créa la femme (Roger Vadim / Brigitte Bardot) è stato tradotto con Piace a troppi. Avanti (Billy Wilder / Jack Lemmon) è diventato Che cosa è successo tra mio padre e tua madre e così via. La tendenza attuale è conservare il titolo inglese, magari accompagnandolo da una traduzione esplicativa.
E la critica italiana? Se la distribuzione di Eyes Wide Shut si è arroccata sul titolo originale, i critici italiani non si sono potuti esimere dallo spiegare o “tradurre” questa espressione enigmatica. I risultati sono piuttosto meschini ma valgono la pena di un’analisi approfondita. Una delle traduzioni fornite per la parola wide è “spalancatamente”, termine inesistente nel nostro lessico (occhi spalancatamente chiusi). L’intenzione evidentemente è quella di sottolineare l’ossimoro ma il risultato resta abbastanza cervellotico.
Il compito della traduzione. Nella mia trentennale esperienza di insegnamento universitario, ho sempre cercato di far capire ai miei studenti che il compito del traduttore non è trasporre singole parole, ma riprodurre un’idea da una lingua all’altra. I traduttori improvvisati, invece, si abbarbicano su una parola straniera e cercano un equivalente puramente semantico. In questo modo si condannano a non rendere l’idea sottesa dal testo originale.
Se invece si chiedessero a cosa pensava Kubrick con il suo titolo, potrebbero trovare una via italiana per riproporre l’idea del film.
L’equivalenza è il cardine della traduzione professionale. Equivalenza non significa identità, anzi la ricerca di un’espressione equivalente comporta di per sé stessa una nozione di perdita. Nel 2003 Umberto Eco pubblicava un libro dal titolo Dire quasi la stessa cosa riferendosi alle sue esperienze di traduttore e autore tradotto. Questo “quasi” racchiude l’intera problematica della traduzione.
Soluzioni. Kubrick ci fa capire che in alcuni casi è meglio tenere gli occhi chiusi per evitare di essere coinvolti in vicende pericolose: questa è la nozione che dobbiamo cercare di trasmettere al nostro lettore. Una prima approssimazione potrebbe essere: “Occhi apertamente chiusi” che cerca di riprodurre il senso dell’ossimoro del titolo originale (aperto è uno dei significati di wide). Personalmente, vista l’attuale tendenza della distribuzione italiana, avrei preferito usare il titolo inglese accompagnato da un sottotitolo ad occhi ben chiusi.
E se non siete d’accordo, posso anche cambiare mestiere, anzi è già successo perché ormai sono in pensione.