Il tipografo di Nettuno che nel periodo elettorale si riempiva di amici e nemici, si vantava di aver stampato il libro di don Vincenzo Cerri
Ricordo del nettunese Isidoro Alessi, detto Schicchera
In questi giorni di grande fermento per le elezioni del sindaco di Nettuno, mi è tornato in mente uno dei personaggi che della politica diceva di intendersene parecchio. La sua tipografia, in questi periodi pre-elettorali si riempiva di amici, o nemici, secondo il suo punto di vista politico. A qualsiasi ora c’era qualcuno che andava a “sfogarsi” con lui. Isidoro morì il 20 novembre 2019. Ricordo il silenzio che al suo funerale, quando tutti gli amici erano a chiedersi e cercare la spiegazione dell’improvvisa e inspiegabile tragedia, udirono una voce diversa, una voce che non ammetteva il pianto. Forse la voce dei suoi adorati figli Patrizia e Massimo, una voce che imponeva il silenzio: «Era destino». Può il destino decidere in quattro mesi di lasciare orfani i figli? Purtroppo, con l’ignobile sorriso della Signora con la Falce, la Morte non esitò quattro mesi prima a prendersi la vita di Olga, la moglie di Isidoro e mamma di Massimo e Patrizia. Quella fu una sorpresa che colse tutti, famigliari e amici, sgomenti, perché era Isidoro che stava male e non Olga, una Del Giaccio. Era Isidoro che da un paio di anni soffriva del morbo di Parkinson e necessitava di assistenza continua; era sempre Olga che gli ricordava di prendere i farmaci all’ora stabilita dal medico. E pensare che Isidoro era un ragazzo dinamico, sempre pronto alla battuta scherzosa, con tanta nostalgia delle canzoni e dei balli degli anni ’60. Legata a un granello di sabbia di Nico Fidenco e Scandalo al sole, la colonna sonora dell’omonimo film, erano le sue preferite. Per i tanti amici, soprattutto milanisti, era un personaggio unico, milanista vero, d’antico stampo, come se ne trovano ancora a Nettuno.
Gli piacevano le feste di ballo e con Olga formava una coppia di brillanti ballerini del cha cha cha e dell’Hully Gully. Gli piaceva passare le serate in compagnia, spesso lo seguiva il cognato Enzo Del Giaccio, il fratello di Olga, che tutti chiamavano “Ranfa”, di Anzio (anche Olga era di Anzio), il quale, non avendo la patente per guidare la macchina, andava a ballare con la motoretta Piaggio, con la consorte piena d’oro addosso: bracciale e anelli con brillanti, e impellicciata, seduta goffamente accanto al guidatore. Le serate tra i due cognati non finivano sempre in armonia. perché a “Ranfa” non era simpatico affatto il presidente Berlusconi e così litigavano. «Ma va, va!» si dicevano invece di «Buona notte!». Non si portavano assolutamente rancore però e il venerdì sera era sempre Enzo a telefonargli. «Paposcia’», gli diceva in gergo portodanzese, «che facciamo domani sera?». Enzo poi si ammalò e la malattia lo portò via velocemente. A Nettuno, non c’era una mattina di domenica che Isidoro non sostasse in piazza a prendere il giornale e il caffè con gli amici. Sempre elegante, camicia e pantaloni con la riga, col pullover oppure semplicemente un giubbino o maglioncino, sempre tutto sgargiante, si creava intorno a lui un gruppetto di amici con i quali condivideva, o non condivideva, i fatti del giorno, sia della politica che dello sport. Convinto delle sue idee non ammetteva che altri lo contraddissero.
La tipografia di Paolo Caprice, in via Arno, fu la sua “bottega” dell’ultimo periodo di lavoro. E anche da Paolo si faceva salotto, com’era consuetudine dove c’era Isidoro. «A volte mi giro e mi sembra di vederlo a fianco a me o dietro di me», si è espresso così recentemente Paolo; una maniera per dire che gli manca. Isidoro, in verità ha lasciato un vuoto tra i tanti amici che gli sono stati vicini, ultimo dei quali va ricordato Memmo Caranzetti, un uomo dinamico che è stato il più caro degli amici di Isidoro degli ultimi tempi. Ormai impossibilitato a guidare, era il bravo Memmo che andava a prenderlo a casa per portalo in piazza per un caffè, per fare quattro chiacchiere, sempre circondando dagli amici, i soliti, quelli della “Classe di ferro”. Morta Olga fu sempre Memmo a non fargli mancare il suo affetto continuando a fare il tragitto casa-piazza e viceversa e infine clinica-casa e viceversa, fino all’ultimo giorno, quando lo ha raggiunto la telefonata di Patrizia, la figlia di Isidoro, per annunciagli che era morto. Memmo non riuscì a trattenere le lacrime e con gli occhi rossi lo disse a Paolo, in tipografia, e poi lo seppero tutti i suoi amici, quelli che udirono la voce in chiesa, forse la voce dei suoi adorati figli Massimo e Patrizia, una voce che imponeva il silenzio: «Era destino».
Silvano Casaldi