SCRITTURA
AL FEMMINILE
Rubrica aperta a tutti
IL RINASCIMENTO:
Donne colte, Poetesse e Cortigiane/3
Veronica Gambara 1485 - 1550
di Ivana Moser
Veronica Gàmbara nasce nel castello del feudo di Pratalboino (oggi Pralboino) nelle vicinanze di Brescia, città animata da un vivace fermento culturale e dove l’opera di Petrarca era ben conosciuta, grazie all’attività delle numerose tipografie locali e a letture pubbliche che ne celebravano il mito. La sua è una famiglia numerosa, nobile, aristocratica, assai colta e imparentata con importanti esponenti della cerchia umanistica. A Veronica viene impartita un’ottima educazione umanistica che comprende lo studio del latino, della filosofia, della teologia e della retorica, discipline che alimentano il suo interesse per la poesia. Fra le famiglie nobili inoltre era consueto il ludo letterario che comprendeva sia cimentarsi con le liriche sia dissertare sulla letteratura; così la giovane poetessa comincia a scrivere versi fin dall’adolescenza trascorsa tra Pralboino e Brescia.
Veronica sposa a ventiquattro anni Gilberto VII, signore di Correggio (centro emiliano), e vive con lui un tempo felice, nonostante il matrimonio combinato e la differenza di età fra i due, 26 anni. Celebra l’amore coniugale e, legata al consorte da un amore profondo, gli dedica numerose poesie, nelle quali esalta la bellezza, la luminosità e la mutevolezza del suo sguardo, fonte di vita e di serenità per lei.
Il madrigale Occhi lucenti e belli, è una delle composizioni più celebri di Veronica, dove gli occhi del consorte riescono a far ardere il cuore della giovane e procurano alla poetessa varie emozioni:
Occhi lucenti e belli,/com’esser può che in un medesmo istante/nascan da voi nove sì forme e tante? /Lieti, mesti, superbi, umili, alteri/vi mostrate in un punto, onde di speme/e di timor m’empiete, /e tanti effetti dolci, acerbi e fieri/nel core arso per voi vengono insieme/ad ognor che volete. /Or, poi che voi mia vita e morte sète,/occhi felici, occhi beati e cari,/siate sempre sereni, allegri e chiari.
E altove: […] Vero albergo d’amore, occhi lucenti/del frale viver mio fermo ritegno. /A voi ricorro ad a voi sempre vegno/per trovar qualche pace a` miei tormenti. […]
Nel 1518 Veronica perde il marito, del quale porterà il lutto fino alla fine della sua vita. Rimasta sola, si deve occupare sia della gestione degli affari di famiglia, sia della contea di Correggio, che regge con prudenza e saggezza. Riesce a conciliare gli affari politici e l’attività letteraria, intrattenendo corrispondenze con molti letterati e uomini illustri dell’epoca. Nel suo sfaccettato profilo coesistono e si integrano la letterata, l’accorta politica e reggente della contea del marito, la lucida intellettuale e conoscitrice del suo tempo e l’animatrice di cenacoli culturali.
Le sue poesie trattano di temi eterogenei quali l’amore, gli eventi della vita, personaggi e fatti celebri, la contemplazione della natura, scene pastorali, tematiche religiose.
Altro tema caro a Veronica sono le riflessioni sulla brevità della vita e sulla fugacità del tempo che produce nell’uomo la perdita della speranza, mentre nella natura si riproduce l’eterno miracolo della rinascita:
Così si fugge il tempo, e col fuggire/ ne porta gli anni e ‘l viver nostro insieme;/ chè a noi, voler del ciel, di più fiorire,/ come queste faran, manca la speme,/ certi non d’altro mai che di morir./ O d’alto sangue nati o di vil seme;/ né quanto può donar felice sorte/ farà verso di noi pietosa morte. […].
COMPRENDERE
FUORI DAI CONFINI
Béla Bartòk e la ricerca
del patrimonio musicale popolare/3
di Antonio D’Augello
Nel 1907, viene conferita a Bartok, la cattedra di pianoforte presso il Conservatorio di Budapest, dove può stabilirsi permettendogli di continuare con tranquillità i suoi studi folklorico-musicali.
Nello stesso anno, spinto da Kodaly, si avvicina alla musica di Debussy:
«Analizzate alcune sue opere, mi accorsi con stupore che anche nella sua musica ricorreva con particolare insistenza, un melodismo pentatonico assai simile alla nostra musica popolare. Ho sempre pensato, a proposito di questo fenomeno, che dovesse trattarsi dell’influenza di una qualche musica dell’Europa orientale. E del resto vediamo che Stravinsky rivela analoghe caratteristiche, il che significa che è ormai diffusa in tutti i paesi la tendenza a rinsanguare la musica colta con elementi popolari, a differenza di quanto invece è accaduto negli ultimi secoli».
Bartok aveva trovato la via “nuova” che cercava, e così i suoi lavori, fin dall’Op. 4, si giovarono degli elementi citati, ma le sue composizioni sollevarono a Budapest, una indignazione quasi generale, un’incomprensione dovuta, secondo il compositore per le pessime esecuzioni di direttori non in grado di comprendere la sua musica e di orchestre assolutamente inadeguate.
Nel 1911, per sopperire a questi inconvenienti Bartok, Kodaly e un gruppo di giovani musicisti, pensano di dar vita ad una “Nuova Società Musicale Ungherese”, con lo scopo principale di formare un’orchestra da camera che fosse assolutamente indipendente da ogni ente statale o privato, e che eseguisse sia la musica antica che quella moderna e modernissima. Il progetto non ebbe però seguito e unito ad altri insuccessi personali di Bartok determinò il suo ritiro da ogni attività musicale pubblica, favorendo la scelta di dedicarsi completamente allo studio della musica folklorica intraprendendo audaci viaggi al fine di raccogliere “sul campo” quanti più canti possibile dalla tradizione orale contadina.
Il lavoro di ricerca, si affina sempre di più sotto il profilo scientifico, attraverso precise metodologie di indagine, di registrazione e di classificazione del materiale musicale. Il campo di azione si allarga alla Turchia e al Medio Oriente.
Nel 1914, con lo scoppio della guerra viene meno la possibilità di proseguire all’estero le sue ricerche, che fino al 1918 si concentreranno nella propria regione ungherese.
Nel 1917 i primi successi, ma…
Finalmente l’atteggiamento del pubblico di Budapest muta radicalmente anche per merito dell’esecuzione perfetta di Egisto Tango, che nel 1917 presenta nella capitale ungherese il balletto Il principe di legno, e sull’onda del successo, nel 1918, l’atto unico, Il castello di Barbablù scritto nel 1911.
Purtroppo però la catastrofe politica ed economica di una guerra persa, impediscono a Bartok di sfruttare quel successo tanto meritato e non favorisce quel clima di serenità a lui necessario per intraprendere la realizzazione di nuovi lavori.
Su questo fronte è estremamente interessante la domanda che Bartok si pone al termine dell’Autobiografia, parole che con assoluta attualità, evidenziano tutta la sua passione per la ricerca resa, ma possibile solo in un clima di pace tra i popoli:
«Per quanto riguarda poi l’attività scientifica folklorico-musicale, nemmeno oggi si può seriamente pensare ad una sua ripresa. Non vi sono mezzi sufficienti per concedersi un tale lusso, né d’altra parte l’indagine nei territori tolti al Paese sarebbe possibile, almeno fin tanto che permangono vivi gli attuali odi politici. Viaggiare poi in paesi lontani, che sarebbe l’unica soluzione allo stato attuale delle cose, è addirittura un’idea disperata! Ma del resto, è proprio così importante, come sembra a noi che ce ne occupiamo con passione, questo ramo della musicologia rimasto fino a oggi sostanzialmente estraneo a ogni interesse?».
Museo Giacomo Manzù
ARDEA
Domenica 11 febbraio 2024 - ore 18.00
Un simposio fuori porta
per ascoltare
Silvia D’Augello
Un programma dedicato a tre grandi che hanno contrassegnato la letteratura pianistica in tre periodi diversi:
il Classicismo di Ludwig van Beethoven, il Romanticismo di Robert Schumann e l’Impressionismo di Maurice Ravel.
1814 - Sonata op.90 n. 27 di Beethoven
rappresenta una delle sue opere più atipiche. Si sviluppa in soli due movimenti caratterizzati dalla contrapposizione delle tonalità di Mi minore e Mi Maggiore.
1836 - Fantasia op.17 in Do Maggiore di Schumann
dedicata a Franz Liszt, l’opera è generalmente descritta come il più grande lavoro pianistico di Schumann e composizione di riferimento del Romanticismo.
1920 - La Valse di Maurice Ravel
composizione per solo piano dopo averne precedentemente approntato una versione per due pianoforti e una per orchestra. L’idea musicale è quella di un omaggio a Johann Strauss attraverso la forma del valzer che Ravel tratta in chiave impressionistica con tinte fosche, ironiche e a volte al limite del macabro.
YOUNG SOPHIA
Il pensiero dei giovani
È VENTO
È piacevole e sgradevole questa cosa,
che scompiglia i capelli e fa rabbrividire.
È più leggera del tocco di una mano
ma violentemente
accarezza il tuo corpo
e tutto il resto, contemporaneamente.
Parla
non capisci cos’è che dice,
si lamenta (forse),
ora non hai tempo di ascoltarla.
Hai incontrato il vento per la prima volta.
Giulia Liceti Iach
II M Liceo Musicale “Chris Cappell College” Anzio