SIMPOSIO
Giuliana Bellorini
Coordinatrice corrispondente
del salotto sede del Simposio
UN SALUTO
affettuoso e riconoscente a Sergio Bedeschi. Un saluto corale e silenzioso da tutti noi, per rispettare la sua volontà.
Seguendo il suo grande esempio riprendiamo, con lo stesso entusiasmo che sapeva infondere, la nuova stagione del Simposio, insieme alle proposte degli amici da poco arrivati e ai fedelissimi già pronti per i prossimi incontri. Ma, soprattutto, ricominciamo nel segno della continuità, sostenuti dall’eredità avuta in dono da chi ci ha lasciato e dai ricordi indelebili che portiamo con noi.
Giuliana
CURIOSE PILLOLE
DI STORIA
ODESSA È
UN ANGOLO D’ITALIA
di Francesco Bonanni
In Crimea sin dal XIII secolo i Genovesi avevano creato in Medio Oriente delle Colonie che prosperarono fino al 1475 con l’occupazione dell’Impero Bizantino ad opera degli Ottomani che distrussero Odessa costruita dagli Italiani.
Quando Caterina la Grande (1729-1796) conquistò il territorio, la Città ed il relativo Porto non esistevano più. Vi era solo un Forte Militare. Con questa conquista i Russi ottennero uno sbocco sul Mar Nero per esigenze legate ai traffici commerciali e in seguito all’espansione economica ricostruirono sia la Città che il Porto.
Per la ricostruzione della Città e del Porto, nel 1794 la Sovrana incaricò l’italiano Josè De Rivas (di padre spagnolo e di madre irlandese ma nato e cresciuto a Napoli) che avrebbe voluto chiamarla Odisseus in onore all’eroe omerico che aveva a lungo navigato nel Mediterraneo, ma Caterina impose il nome al femminile da cui Odessa.
De Rivas per la costruzione della città chiamò dall’Italia un numeroso personale specializzato: Architetti, Artigiani tecnici e, insieme a loro arrivò la Musica e tanti libri.
Nell’Ottocento la Comunità Italiana ammontava a circa 8.000 persone. A testimonianza dell’importanza di questa presenza a Odessa, le indicazioni in russo sono affiancate da quelle in lingua italiana.
Sempre nel medesimo periodo (1803-1814) anche il Duca di Richelieu, discendente del noto Cardinale, per ampliare la città, come aveva fatto Pietro il Grande all’epoca della costruzione di Pietroburgo, si rivolse ad alcuni architetti italiani: Torricelli, Boffa, Scuderi ed altri. E lo stesso per la famosa scalinata immortalata nel film del “La corazzata Potëmkin” di Michele Ejzenstejn.
Negli anni successivi la Comunità italiana gradualmente scomparve in quanto si integrò in quella locale.
La professionalità italiana venne ancora apprezzata all’inizio del XX secolo quando fu un imprenditore siciliano a proporre progetti e a costruire aerei. Ma alla definitiva presa del potere da parte dei Bolscevichi, molti italiani essendosi schierati con l’Armata Bianca dovettero abbandonare il territorio.
E la notorietà italiana riemerse negli Anni Trenta quando Odessa fu tappa della Crocera Mediterranea guidata da Italo Balbo.
Una Curiosità:
La Canzone “O sole mio” fu composta nel 1898 a Odessa da Eduardo di Capua su parole di Giovanni Capurro. Questa canzone ha avuto un tale immediato e diffuso successo in tutto il mondo da essere stata protagonista di un evento politico internazionale.
Difatti quando il 7 agosto del 1946, durante i lavori preparatori per la stipula del Trattato di Pace, il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi sbarcò all’Aeroporto di Parigi fu salutato dal Picchetto d’Onore al suono di questa canzone in quanto la neonata Repubblica Italiana non aveva ancora un inno ufficiale che fu scelto solo il 12 ottobre dello stesso anno.
OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
Perché non parli?
Causa-effetto
secondo Freud
di Giancarlo Marchesini
In un mio recente articolo in cui indagavo la relazione causa-effetto, prendendo ad esempio un antico proverbio cinese, facevo espressa menzione a un’analisi puramente estetica che il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud faceva del Mosè, il capolavoro di Michelangelo custodito a San Pietro in Vincoli.
Freud a Roma. Nel 1901 Freud si recò per la prima volta a Roma dove restò per un lungo soggiorno, affascinato dal clima, dalle opere d’arte e dalla cultura della Città Eterna.Per tre settimane consecutive si recò ogni giorno nella basilica di San Pietro in Vincoli per studiare e analizzare il Mosè di Michelangelo. Aiutandosi con schizzi e disegni che riproducevano le posizioni successive del condottiero ebraico prima di raggiungere la postura raffigurata da Michelangelo, Freud giunge a una conclusione sorprendente che si discosta dal racconto biblico.
La Bibbia - Recupero in extremis. Secondo il racconto biblico, Mosè, scendendo dal Monte Sinai, si avvide che il suo popolo, divenuto idolatra, stava adorando un’effigie pagana, il Vitello d’Oro. Adirato e preso da una furia incontenibile, come era nel suo carattere, lanciò a terra le Tavole della Legge che si spezzarono irreparabilmente.
Sempre secondo la Bibbia Dio ordinò a Mosè di ritagliare due lastre di pietra delle stesse dimensioni sulle quali incise nuovamente i Dieci Comandamenti. Le nuove tavole vennero custodite nell’Arca dell’Alleanza, poi trasferite nel tempio di Gerusalemme e infine perdute con la distruzione dello stesso.
Freud entra in campo. Con uno spettacolare capovolgimento critico, maturato in tre settimane di analisi della statua, Freud contesta che il Mosè di Michelangelo raffiguri il condottiero degli ebrei preso dalla furia dirompente che lo porterà alla distruzione delle Tavole. Appoggiandosi a schizzi e disegni successivi Freud ritiene piuttosto che Mosè faccia uno sforzo supremo per dominarsi e contenere la sua ira. Molti sono i dettagli che il padre della psicanalisi prende in considerazione: le Tavole stanno quasi sfuggendo dalla presa di Mosè, ma sono ancora saldamente nelle sue mani. Il dito che si annoda sulla barba fluente indica la forza con cui Mosè reprime la sua prima reazione. Un piede sollevato esprime fisicamente la fine di un travaglio psicologico. Infine, il fatto che Mosè volga la testa rifiutando di guardare l’effigie pagana.
Causa-effetto. Freud ribalta la classica relazione causa-effetto che per secoli ha influenzato l’interpretazione di questo capolavoro. La causa non è l’ira ma piuttosto la temperanza. Mosè riesce a dominarsi, a non distruggere le tavole e a garantire la loro funzione teleologica (finalità).
Per riprendere la tematica dell’articolo che era l’origine di questa riflessione “freudiana”, potremmo dire che Freud, analizzando i vari dettagli del capolavoro di Michelangelo, ha applicato ante litteram la nozione di serie causali e non si è fermato a una semplice relazione causa-effetto.
Se volessimo “fare la psicanalisi” a Freud potremmo dire che questo capovolgimento esprima il dissidio che si andava delineando all’interno della Società di psicoanalisi (Freud contro Jung, Ferenczi e altri).
Indipendentemente dalla solidità e dalla fondatezza di questa interpretazione, possiamo dire che il fondatore della psicanalisi sia riuscito a far parlare Mosè!