ESEMPLARI
UNICI AL MONDO
40 stampe ad incisione,
del XVI sec.
di Roma antica
Un viaggio con il
prof. Clemente Marigliani
Sabato 10 agosto 2024, presso il Museo Civico Archeologico di Anzio, il prof. Clemente Marigliani ha accompagnato gli amici del Simposio in un percorso espositivo sulle opere d’arte presenti alla mostra dal titolo: Visioni di Roma Imperiale. Ritratti da Nerone a Settimo Severo curata da Alessandro Maria Jaia e Clemente Marigliani.
Aperta fino al 15 settembre 2024
Mostra concepita per concludere idealmente l’ampio progetto iniziato lo scorso anno con la prima sezione La Fabbrica di San Pietro, la seconda Roma antica.
Il prof. Marigliani illustra con la sua consueta maestria le quaranta stampe ad incisione, del XVI secolo di Roma antica e centro del potere, sottolinea la singolarità di questi esemplari unici al mondo, infine narra dei quattro ritratti scultorei degli imperatori romani scelti, perché particolarmente legati ad Anzio e alla grande residenza imperiale.
La straordinaria selezione di acquaforte mette in luce lo stato dei monumenti in quel momento storico, altre stampe, invece, evidenziano lo studio dei mausolei dal punto di vista tecnico.
Tra l’abbondanza delle incisioni Il Circo Flaminio, ricostruzione 1581, eretto nel 220 a.C. in una zona compresa tra il Portico di Ottavia, il teatro Marcello ed il Tevere; L’esorcismo dell’obelisco di Caligola l’unico monumento rimasto in piedi a Roma e visibile sulla piazza di San Pietro, gli altri sono tutti crollati.
Nella stampa viene anche riportata la minuta descrizione della cerimonia di esorcismo della guglia, nonché la benedizione e collocazione della croce sulla sommità simbolo del cristianesimo trionfante; Il Teatro di Marcello del 13 a.C. ricostruito in una stampa di Claude Duchet tra il 1565 e il 1585; il Pantheon dell’incisore Nicolas Beatrizer (1515) rappresenta uno dei pochi monumenti rimasti integri ricostruito intorno all’anno 100 a.C. ad oggi nessun ingegnere è stato in grado di duplicarlo utilizzando la tecnica romana; Spaccato del Pantheon preso in considerazione per lo studio delle sue misure; il Tempio di Portunus (antico dio romano protettore delle porte cittadine e dei porti) vicino alla Bocca della Verità; Tempio di Antonino e Faustina del Foro Romano di Roma; Settizonio, il sepolcro di sette piani di Settimo Severo successivamente smantellato da papa Sisto V per farne parte della Cappella Sistina, parte di Santa Maria Maggiore, parte per dell’edificazione della Basilica di San Pietro, parte per le Statue a Monte Cavallo, parte per il Portale del Palazzo della Cancelleria; Spaccato del Colosseo (fig.1) dell’incisore Lombardo Giovanni Brambilla; Resti del Tempio dei Dioscuri con le tre colonne del Portico del Tempio di Giulio così come sono nel Foro Romano; Bestiario di pitture antiche di Enea Vico grandissimo incisore.
Le tre stampe riportano la descrizione di gran parte degli animali che venivano usati nei combattimenti tra uomini e fiere o semplicemente per spettacoli dati nel circo.
Moltissime altre opere d’arte illustrano gli archi di trionfo e i mausolei tra i quali: Arco di Tito (fig.2), Arco di Settimio Severo, Arco di Costantino, Mausoleo d’Augusto e Mausoleo di Adriano.
Ad arricchire le raccolte di stampe ad incisione del XVI secolo di Roma antica contribuiscono i ritratti scultorei degli imperatori romani: Marco Aurelio, Settimio Severo e Nerone, costruttori del porto e della Villa Imperiale di Anzio.
Ivana d’Amore
SCRITTURA
AL FEMMINILE
Rubrica aperta a tutti
IL RINASCIMENTO
Donne colte, Poetesse e Cortigiane /6
Gaspara Stampa 1523 - 1554
di Ivana Moser
Gaspara
Stampa,
poetessa o anche cortigiana? Un quesito insoluto.
Nasce a Padova nel 1523 in una colta famiglia di commercianti. Poco si sa della sua breve vita. Il padre si occupa della sua educazione, impartendole i primi insegnamenti in musica e metrica. Alla morte del padre, 1531, la famiglia si trasferisce a Venezia. La madre, decisa ad assicurare ai figli l’educazione iniziata sotto la guida paterna, continua l’opera educativa, ampliando lo studio ad altre discipline, quali letteratura, musica, canto e pittura. Gaspara diviene ben presto ammirata cantante e suonatrice di liuto che si esibisce nel salotto letterario di casa Stampa, tra i più frequentati dai maggiori musicisti, pittori e letterati di Venezia.
Nel pieno della giovinezza e della fama, nel 1548, conosce l’uomo che amerà appassionatamente: il conte trevigiano Collaltino di Collalto, uomo d’armi dagli spiccati interessi letterari e poeta.
Da parte di Gaspara è un amore sincero, accolto con dedizione totale, un sentimento quasi disperato, mentre quello di Collaltino è senza slancio, un sentimento tiepido e fatto di lunghe assenze.
Per Gaspara l’amore è un fuoco che brucia, consuma e dilania ma è una sofferenza della quale non può fare a meno e che diventa nutrimento per la sua arte poetica, fatta di evocazioni e invocazioni.
Il Canzoniere di Gaspara raccoglie 311 composizioni, sonetti, madrigali, canzoni, sestine e capitoli, su modello petrarchesco, è una sorta di diario lirico, espressione e strumento dei suoi sentimenti.
La maggior parte dei componimenti sono riferiti all’amore per il suo conte Collaltino. Nei suoi versi Gaspara confessa l’esaltazione dei momenti felici e mette a nudo le ansie e i turbamenti dell’animo, scosso dai fremiti della gelosia e del sospetto, che si trasforma in dolorosa certezza nel momento dell’abbandono definitivo da parte del conte dopo tre anni.
Il sonetto di apertura delle Rime di Gaspara Stampa riprende il sonetto proemiale del Canzoniere di Francesco Petrarca “Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono”.
Dal punto di vista strutturale e formale il modello è palese, ma dal punto di vista del contenuto le significative differenze rispecchiano l’originalità della via femminile al petrarchismo proposta da Gaspara.
Voi, ch’ascoltate in queste meste rime,/ in questi mesti, in questi oscuri accenti/ Il suon degli amorosi miei lamenti/ e delle pene mie tra l’altre prime;/ove fia chi valor apprezzi e stime,/gloria, non che perdon, de’ miei lamenti/ spero trovar fra le ben nate genti,/ poi che la lor cagione è sì sublime./ E spero ancor che debba dir qualcuna:/ felicissima lei, da che sostenne/ per sì chiara cagion danno sì chiaro!/ Deh, perché tant’amor, tanta fortuna/ per sì nobil signor a me non venne,/ ch’anch’io n’andrei con tanta donna a paro?
Durante i tre anni della sua relazione con Collaltino, Gaspara conosce i momenti più esaltanti e i più tormentati della sua breve esistenza, eppure anche la sofferenza le è necessaria: Straziami, Amor, se sai, dammi tormento,/ tommi pur lui, che vorrei sempre presso,/ tommi pur, crudo e disleal, con esso/ ogni mia pace ed ogni mio contento,/ fammi pur mesta e lieta in un momento,/ dammi piú morti con un colpo stesso,/ fammi essempio infelice del mio sesso,/ che per ciò di seguirti non mi pento.[…]
Nelle sue rime Gaspara canta i brevissimi diletti e le lunghe doglie dell’amore, il suo desiderio, Quando’l disio m’assale, ch’è si spesso,/ non essendo qui meco chi l’appaga,/ la vita mia è un morir’ espresso […].
Voce autentica e spontanea, la poetessa si distingue per la sincerità nuova che la spinge a rivelare un mondo interiore femminile mai confessato prima con tanto coraggio, si racconta capace, per amore, di attraversare le fiamme come la salamandra della leggenda e risorgere come la fenice, mentre il suo cuore stanco si è infiammato per un altro amore, quello di un letterato:
Amor m’ha fatto tal ch’io vivo in foco,/ qual nova salamandra al mondo, e quale/ l’altro di lei non men stranio animale,/ che vive e spira in medesmo loco./ Le mie delizie son tutte e ‘l mio gioco/ vivere ardendo e non sentire il male,/ e non curar ch’ei m’induce a tale/ abbia di me pietà molto né poco./ A pena era anche estinto il primo ardore,/ che accese l’altro Amore, a quel ch’io sento/ fin qui per priva, più vivo e maggiore./ Ed io d’arder amando non mi pento,/ pur che chi m’ha di novo tolto il core/ resti dell’arder mio pago e contento.
Nelle Rime troviamo espresso tutto il sentimento che scuote la sua anima fino a lasciarle il vuoto che cerca di colmare rivolgendosi a Dio.
I versi a chiusura del Canzoniere sono un po’ un abbandono all’amore di un Amante che non può tradire:
Mesta e pentita de’ miei gravi errori/ e del mio vaneggiar tanto e sì lieve,/ e d’aver speso questo tempo breve/ de la vita fugace in vani amori,/ a te, Signor, ch’intenerisci i cori,/ e rendi calda la gelata neve,/ e fai soave ogn’aspro peso e greve/ a chiunque accendi di tuoi santi ardori,/ ricorro; e prego che mi porghi mano/ a trarmi fuor del pelago, onde uscire,/ s’io tentassi da me, sarebbe vano./ Tu volesti per noi, Signor, morire,/ tu ricomprasti tutto il seme umano;/ dolce Signor, non mi lasciar perire!