Nedda Antonetti aveva portato il volontariato vero a Pomezia
Grazie Nedda
L’associazione di volontariato ARVAS di Pomezia dà il triste annuncio che la sua fondatrice signora Nedda Antonetti ci ha lasciati il giorno 17 ottobre scorso. È una grande perdita per tutta la famiglia ARVAS e per tutte le persone che hanno avuto il privilegio di conoscerla.
Nedda portò il volontariato a Pomezia, nella Clinica Sant’Anna, verso la fine degli anni ’80 – inizio ‘90; fino a quel momento, l’Associazione ARVAS esisteva solo a Roma all’ospedale San Giovanni e la figura del Volontario non era ancora ben compresa e, forse, anche non ben accettata. All’epoca c’era molta diffidenza perché non era concepita l’idea che una persona, in modo spontaneo e gratuito, potesse donare parte del suo tempo a degli sconosciuti. Nedda però, spinta da ispirazione e coraggio, con non poche difficoltà e qualche “porta chiusa in faccia”, andò avanti per la sua strada e con alcune persone amiche e conoscenti, formò l’associazione che oggi a Pomezia, presso la Clinica Sant’Anna, è un caposaldo del volontariato sanitario.
Nedda è stata un esempio di vita, fonte di ispirazione e di coraggio. Ricorderemo per sempre l’amore e il bene che ha donato a noi e a chi, in un letto d’ospedale, ha ricevuto da lei una carezza, una parola gentile, un ascolto, un sorriso. È proprio vero che le persone non muoiono mai se si portano nel cuore e tutto quello che lei ci ha insegnato continuerà ad alimentare il suo ricordo nella nostra attività di assistenza e nella nostra quotidianità, dandoci anche l’occasione per riflettere sulla nostra vita e sul nostro essere Volontari.
Cara Nedda, è come se non fossi mai andata via, perché la tua gioia, il tuo entusiasmo, la tua forza, la tua volontà, il tuo amore, sopravviveranno nella nostra memoria ed in quella di quanti ti hanno conosciuta ed amata.
Come diceva Sant’Agostino: “La morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte: è come se fossi nascosto nella stanza accanto”.
E tu Nedda, per noi sarai sempre nella stanza accanto, in quella stanza di ospedale vicino a chi ha bisogno di un’attenzione, di una carezza, di un sorriso...
I Volontari ARVAS di Pomezia
Nel mese di novembre diverse sono le date per ricordare i defunti ed i martiri
Ricordare i morti per onorare la vita
In questi giorni ci stiamo velocemente avvicinando ai giorni in cui siamo abituati a ricordare i nostri defunti, con la annuale visita ai luoghi dove essi riposano. I sepolcri. Nei nostri cimiteri.
Quest’anno, in modo particolare, saremo obbligati non solo a ricordare, a pregare e a piangere per i nostri cari, ma abbiamo il dovere di ricordare e pregare anche per tutti i defunti che stanno morendo in varie parti del mondo. Come non ricordare i morti dell’Ucraina, invasa dalla Russia? Come non ricordare i tanti morti del conflitto tra Israele e la Palestina nella fascia di Gaza? Come non ricordare i tanti morti nel Medio Oriente?
Il 16 ottobre abbiamo ricordato l’80° anniversario della deportazione ad Auschwitz dei componenti il ghetto di Roma; il 2 novembre ricorderemo tutti i nostri cari con la visita ai cimiteri cittadini; il 4 novembre sarà celebrata la festa delle Forze Armate per onorare i sacrifici dei giovanissimi soldati che hanno sacrificato il bene supremo della vita per un ideale di Patria; il 12 novembre verranno ricordati i 19 martiri di Nassiriya; il 19 novembre presso il cimitero germanico di Pomezia verrà celebrata la giornata della memoria per i circa 24500 giovani tedeschi che lì riposano, morti durante la seconda guerra mondiale, presente anche l’ambasciatore tedesco in Italia. Per tutti costoro vale l’affermazione del poeta che ”fu santo e lacrimato il sangue per la patria versato, finché il sole risplenderà su le sciagure umane”.
Anche l’atmosfera, ci invita a riflettere e a pregare. D’altronde l’abbreviarsi dei giorni, il sopraggiungere del buio, l’apparire delle nebbie. Tutto ci parla della vigilia dell’inverno, quando la terra riposa e la vita sembra abbandonarla. Forse per l’atmosfera è stata fatta la scelta di ricordare i morti in questi giorni.
Ricordare i morti, pensare ad essi, è semplicemente riconoscerci debitori verso chi ci ha preceduto ed essere consapevoli che trasmettiamo ciò che da loro abbiamo ricevuto. Viviamo un tempo in cui sovente ci viene ricordato che siamo debitori verso le generazioni future, che determiniamo la vita di chi verrà dopo di noi, a livello culturale, politico, economico, ecologico; ma è possibile lasciare una buona eredità se non si è capaci di riconoscere l’eredità ricevuta?
Ricordare i morti è assumere una responsabilità, è acquisire una dimensione necessaria al nostro passaggio su questa terra come mortali, inseriti in genealogie non solo familiari ma culturali.
E’ molto significativo che nella tradizione ebraica e cristiana sia stato percepito come necessario il seppellimento dei corpi, un luogo nel quale il corpo trova collocazione, e parafrasando il Foscolo “sacre le reliquie renda dall’insultar de ’nembi e dal profano piede del vulgo, e serbi un sasso il nome”, testimonianza di un’esistenza terrena unica, conclusasi con la morte.
Proprio perché il ricordo è essenziale all’umanizzazione dei defunti come sta avvenendo in questi giorni in Ucraina e in Israele, scene che siamo abituati a vedere giornalmente sugli schermi televisivi, dove si sta dando sepoltura sovente riuniti in una fossa comune, depositando fiori sui loro cadaveri.
Testimonianza, questa, di una coscienza della morte inscritta tra gli elementi più decisivi nella differenziazione tra umani ed animali. Ricordare i morti, però, conduce anche a pensare alla morte e a interrogarci sul senso della vita.
La certezza di dover morire unisce uomini e donne, è la base dell’etica dell’empatia, della compassione, è ciò che ci spinge a sentirci tutti e tutte insieme fragili, con un comune destino, e nello stesso tempo ci porta ad essere consapevoli del valore della nostra vita, una sola, una vita di istanti eterni.
Nella nostra tradizione cristiana ed anche ebraica fra qualche giorno andremo a “visitare” i nostri cari morti nei cimiteri cittadini, luoghi dove si piange, si prega, si vivono nostalgie, si misurano e si contano i propri giorni. Come sempre, sia che si è credenti o non credenti si compie questo gesto che sentiamo doveroso, verso coloro che abbiamo amato, verso coloro che ai quali, proprio perché li amavamo, dicevamo con convinzione: “Tu non morirai”.
Ma i cimiteri che visiteremo sono anche luoghi di pace, in cui quelli che erano nostri nemici sono morti, e quindi ora non sono più nemici mentre quelli che erano amici, anche se morti, continuano ad essere tali, fedelmente.
La Chiesa cattolica all’ingresso di ogni cimitero invita i “visitatori” a pregare “concedi loro Signore il riposo eterno: lascia che la luce perpetua risplenda su di loro epossano le anime di tutti i defunti, per misericordia di Dio, riposare in pace. Amen”.
I pensieri espressi non sono lugubri, nè devono includere tristezza, ma vogliono indicare la bontà del pensiero del limite, che noi cerchiamo sempre, soprattutto in questi giorni, di rimuovere, tentati da un individualismo che nega i legami e spegne le responsabilità.
Attilio Bello