Silvano Casaldi, profondo conoscitore della storia nettunese, ha pubblicato “Nettuno, Gesichter einer stadt” e “Il Calvario del Volturno”
Il ventesimo libro di Silvano Casaldi
Con i due nuovi libri “Nettuno, Gesichter Einer Stadt” e “Il Calvario del Volturno” il narrastorie nettunese conquista la seconda Stella d’oro.
- Silvano Casaldi, sei al tuo ventesimo libro. Iniziamo con quello scritto in lingua tedesca, che è la storia della città di Nettuno, la sua patria, anche se i natali a causa della guerra e quindi dello sfollamento, li ha avuti a Teggiano, in provincia di Salerno, lontanissimo dal borgo medievale, perché hai deciso di realizzare quest’opera?
“È un modo per far conoscere Nettuno in Europa e renderla protagonista della storia italiana”.
- La foto della copertina è molto bella, dove l’hai trovata?
“È la riproduzione di un dipinto olio su tela del 1870 il cui titolo è Nettuno, una città sul mare. Ne è autore Vladimir Donatovic Orlovskij di Kiev, Ucraina. Fa parte della collezione privata dell’amico Andrea Mingiacchi che me l’ha concessa per questo lavoro”.
- La dicitura in alto Also sprach ci riporta a qualcosa di antico già sentito, qual è il nesso con questa tua opera?
“È vero, ho parafrasato il titolo Also sprach Zarathustra, uno dei poemi sinfonici più conosciuti di Richard Strauss, ispirato all’opera poetico-filosofica del filosofo Friedrich Nietzsche e mi è venuto in mente scrivendo uno dei capitoli del libro; quello dedicato alla scrittrice Malwida von Meysenbug in vacanza a Nettuno nel 1902, del quale era molto amica. Ci sono dei passaggi che riguardano Nettuno, nel suo libro “Le memorie di un’idealista”, che mi hanno entusiasmato”.
- Lei ha scritto: “A Nettuno, in questo piccolo angolo sperduto, la storia universale irrompe nel presente, suscita tutta una serie di riflessioni e risuscita la magia della meravigliosa natura… Nella commossa descrizione di Malwida, Nettuno appare deliziosa”. Ha scritto anche: “Nettuno celebra nel pomeriggio l’ora della sua nascita dal mare…”.
- Il primo dei capitoli è dedicato a don Vincenzo Cerri, puoi parlarci di lui?
“Lo faccio con gioia. Il monsignore Vincenzo Cerri, per tutti i nettunesi semplicemente don Vincenzo, è il “padre” di tutti noi, appassionati di storia o ricercatori storici. Il suo libro Nettuno e la sua Collegiata, pubblicato nel 1974 è basilare per chi vuole conoscere la storia della città. Lui ne era innamorato e attraverso lui ci siamo innamorati un po’ tutti di Nettuno. Don Vincenzo è stato lo storico più contemporaneo, quello cioè più vicino a noi. A differenza di Brovelli, Soffredini, Matteucci, storici del passato, don Vincenzo ci ha regalato le immagini, infatti nel suo libro ci sono centinaia di fotografie di Nettuno del passato e quelle più recenti degli anni ’60. Sono state perciò soprattutto le fotografie pubblicate sul suo libro, più che la storia scritta, che ci hanno fatto passare interi pomeriggi e serate a raccontare e ascoltare le storie dei nettunesi più e meno giovani. Quel libro dovrebbe stare negli scaffali di tutti i nettunesi”.
- L’ultimo capitolo e dedicato allo scrittore Ralf Isau, come l’hai conosciuto?
“Ralf Isau è uno scrittore di storie di fantasia, per ragazzi. Mi fece visita al Museo dello sbarco nel 2003 e siamo stati insieme per un giorno intero. Voleva conoscere Nettuno e volle che gli raccontassi di ciò che avvenne dopo l’armistizio con gli alleati dell’8 settembre 1943. Fino a quel giorno noi eravamo alleati con tedeschi che diventarono - da un momento all’altro- i nostri nuovi nemici. Ore ed ore di colloquio durante il quale gli mostravo i luoghi degli avvenimenti. Ralf Isau ha voluto farmi un regalo: nel libro racconta di mia madre, già incinta di me, sfollata in campagna come tutti i nettunesi dopo l’occupazione tedesca, delle difficoltà di quei momenti e del mio nome Silvano, che significa “silvestre, che vive nella selva, nel bosco, dio delle foreste”.
- L’altro, invece, il libro con il quale hai raggiunto quota 20 nelle pubblicazioni, riguarda la seconda guerra mondiale, cioè la battaglia del Volturno. Dallo sbarco di Anzio/Nettuno di cui sei esperto, al Volturno, come ti è venuto in mente?
“Ho in archivio tantissimo materiale a riguardo. Fotografie e libri, soprattutto pubblicazione fatte negli Stati Uniti dalle divisioni o reggimenti che hanno combattuto in Italia. L’idea è venuta appena ho conosciuto un appassionato di storia che ha un museo della guerra a Prata, in provincia di Caserta. Ci siamo scambiati alcuni messaggi e così pian piano è maturale l’idea che potevo scrivere qualcosa d’interessante. Il libro è stato apprezzato dagli storici Rick Atkinson e Flint Whitlock”.
- Ci sono dei legami o affinità con lo sbarco di Anzio/Nettuno?
“Si, eccome se ce ne sono, a cominciare dai personaggi, in particolare quelli americani, perché al Volturno hanno combattuto fino a dicembre, le divisioni che poi hanno partecipato allo sbarco del 22 gennaio 1944. Anzi, studiando la battaglia, ho scoperto che prima ancora di arrestarsi sulla Linea Gustav – quella sotto Cassino – la 5a armata soffrì moltissimo sul Volturno e il generale Mark W. Clark, che la comandava, aveva dato incarico ad un suo subalterno di studiare un aggiramento del fronte del Volturno via mare. Il risultato fu che l’unica possibilità era uno sbarco ad Anzio, ma si ritenne troppo distante dalla zona di guerra.
Lo stesso generale Ike Eisenhower disse a Clark: “Si potrà fare uno sbarco anfibio ad Anzio soltanto se si riuscirà a raggiungere Frosinone, una distanza cioè sopportabile per un aiuto alle forze di sbarco”.
Qui nacque l’idea, poi scartata dagli americani e risuscita dal primo ministro inglese Winston Churchill, appena ebbe il controllo totale sul teatro di guerra in Italia, con il risultato che tutti conosciamo, e cioè la testa di sbarco che durò quattro mesi e costò lo sfollamento a centinaia di chilometri da casa di tutta la popolazione di Anzio e Nettuno. Un esodo senza precedenti”.
Patrizia Ciriaco