le Anatema subiva anche gravi conseguenze nella sua vita sociale e politica. Nel Medioevo a temerla erano soprattutto i Sovrani a tutti i livelli: dal Principe, al Re, all’Imperatore.
Difatti i Sudditi erano sciolti dall’obbligo di fedeltà e di obbedienza nei loro confronti nel caso che i Regnanti fossero incorsi nella sanzione della Scomunica.
L’Interdetto
Altro strumento punitivo spesso utilizzato nel passato è stato “L’Interdetto” (dal latino interdicere cioè vietare): pena prevista dal Codice di Diritto Canonicoche produce l’effetto di impedire l’accesso a tutte o a gran parte delleSacre Funzioni della Chiesa. Nel passato tale Istituto fu usato contro le Città e quindi contro tutti i suoi abitanti con gravi ripercussioni economiche. Difatti, non solo alla Città colpita da Interdetto era impedito avere rapporti commerciali con tutti gli altri territori, ma addirittura i beni posseduti all’estero dai suoi abitanti diventavano Res Nulliusper cuiqualsiasi persona poteva appropiarsene.
OSSERVATORIO
LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
Espressioni idiomatiche
“Il cavallo di Troia”
di Giancarlo Marchesini
Vai avanti e racconta della costruzione del cavallo
di legno, che Epeo costruì con l’aiuto di Atena
e che Odisseo luminoso portò dentro l’acropoli:
era pieno di eroi che poi distrussero Ilio. (Troia)
Omero, Odissea VIII 492-495
Tutti conosciamo la storia: il cavallo di Troia era in realtà una macchina da guerra usata dai Greci per espugnare una città di importanza strategica per gli scambi commerciali. Nella mitologia greca (e nell’immaginario europeo) le vere ragioni mercantili vennero ingentiliteed elevate a icona col racconto del rapimento di Elena di Sparta da parte del principe troiano Paride. L’episodio del cavallo non viene narrato nell’Iliade (e l’Odissea vi accenna soltanto). Il mito viene invece riferito nel secondo libro dell’Eneide di Virgilio con le parole dell’esule Enea. Con dolore e commozione Enea racconta la vicenda alla regina Didone: l’inganno fu ordito da Ulisse (uom di multiforme ingegno, come lo definisce Pindemonte), e posto in atto da un “infiltrato” (il giovane Sinone). Quest’ultimo fece credere ai Troiani che il cavallo fosse un’offerta votiva e gli abitanti della città giunsero ad abbattere parte delle mura di cinta per appropriarsene. Ma il cavallo conteneva la punta di diamante dell’esercito greco, guidata da Ulisse,che nottetempo mise la città a ferro e fuoco nonostante le raccomandazioni di Laocoonte, sacerdote di Apollo, e della profetessa Cassandra (che per una volta aveva ragione!).
L’espressione “Cavallo di Troia” indica un inganno ordito per ottenere una vittoria più per intrigo ed astuzia che per valore. Nel caso specifico, le conseguenze furono cruente: una città incendiata e saccheggiata, la morte di Laocoonte trascinato nell’acqua da due serpenti(per volere di Athena) e terribiliviolenze (fra le quali lo stupro della sacerdotessa Cassandra proprio nel tempio di Athena). Con una specie di “negazionismo di comodo” cerchiamo di dimenticare questi aspetti brutali, pensiamo che l’episodio faccia parte della storia anticae lo eleviamo ad una dimostrazione di astuzia. Ma l’inganno e la sofferenza restano e il cavallo di Troia identifica uno degli aspetti peggiori dell’essere umano. Per fare un esempio tristemente noto, la parola Anschluß, impiegata dalla propaganda hitleriana, è stata un vero e proprio Cavallo di Troia per mascherare la volontà di conquista. L’11 marzo 1938 l’esercito tedesco invadeva l’Austria con la complicità del cancelliere filonazista Seyss-Inquart, novello Sinone, che aveva chiesto l’intervento militare della Germania per sedare i “disordini” che si stavano verificando nel paese.Un nuovo cavallo di Troia a distanza di millenni!
Per completare il quadroidiomatico, non dimentichiamo un’altra espressione, anch’essa legata al mito del Cavallo di Troia: il sacerdote Laocoonte esprime la sua incredulità rispetto all’utilità dell’“offerta votiva”con una frase lapidaria: Timeo Danaos et dona ferentes (temo i Greci anche quando portano doni), Questa frase, in latino o tradotta,è divenuta un luogo comunein letteratura (A. Dumas, nelle riflessioni del Signor de Tréville, capo dei moschettieri), in numerosi film (The Rock, La grande abbuffata, C’eravamo tanto amati) e perfino nei fumetti (Asterix legionario). Se il “cavallo di Troia” rappresenta un sotterfugio che porta ad una vittoria.
Timeo Danaos (spesso citata in questa forma abbreviata) è invece un monito a non cedere alle lusinghe. Il cavallo di Troia resta un ingannoad onta dell’alone di nobiltà di cui la storia lo ha circonfuso!
SCRITTURA AL FEMMINILE
Rubrica aperta a tutti
DONNE E UMANESIMO / 2
Cassandra Fedele (1465-1558):
riverita e celebrata ma indigente.
di Ivana Moser
Donne e Cultura umanista La superiorità intellettuale doveva restare una virtù maschile
Partendo dal presupposto che la cultura era riservata all’uomo, nel ‘400 le donne non avevano la possibilità di frequentare la scuola pubblica e laurearsi, lo studio era consentito soltanto sotto la supervisione di un tutore o un famigliare nella propria dimora e allo scopo di un arricchimento personale e nulla di più. Si riteneva inoltre che la donna letterata dovesse rinunciare alla propria femminilità e mantenersi casta (Isotta Nogarola, la monaca domestica, rappresentante della Querelle des Femmes).
Cassandra Fedele e il suo tempo
Cassandra non conduce battaglie a colpi di penna a favore di una cultura al femminile ma in nome della Cultura in assoluto che consente all’uomo di elevarsi dalla brutalità della sua natura. Pienamente consapevole della sua femminilità, sono piuttosto i suoi interlocutori maschi a dover giustificare la sua singolarità di donna all’interno di una società dove ancora le donne non hanno uno spazio pubblico.
GLI STUDI
Il padre, dotto di filosofia e cultore delle lettere greche e latine, la avviò ancora bambina agli studi letterari: a dodici anni padroneggiava già il greco e il latino e passò allo studio della dialettica e della filosofia. La sua solida preparazione umanistica viene coltivata poi con ferma determinazione: agli studi attendo con tutte le mie forze e con la massima diligenza […] nel meraviglioso silenzio della notte mi dedico allo studio con un’applicazione talmente assidua da macerarmi tutta quanta.
LE OPERE
Scrisse in latino e in volgare saggi, orazioni e lettere, fitta la sua corrispondenza con letterati, sovrani e uomini di chiesa.
Oratio pro Bertuccio, un’orazione in lode delle scienze e delle arti
Nel 1487, incaricata di ricevere le insegne dottorali per conto di Bertuccio Lamberti, suo parente, pronuncia l’orazione davanti al Senato Accademico dell’Università di Padova, nella quale loda l’arte raffinata della parola che consente all’uomo di sfuggire alla bieca brutalità della sua natura: […] una terribile fine attende tutto ciò che è transeunte, mentre ciò che si conquista con le capacità e con l’ingegno viene goduto dai posteri; grazie alla parola si riesce a trascendere la brutalità umana […]
Cosa c’è di più lodevole, di più nobile, di più amabile dell’eloquenza? […]
Questi studi sgombrano la mente, stimolano e consolidano la forza della ragione […]
De laudibus literarum Elogio delle lettere
Discorso pronunciato da Cassandra nel 1492 in occasione della presenza a Venezia di una delegazione bergamasca, che resta il suo lascito più interessante. Un’orazione che verte sul tema caro agli umanisti, il ruolo delle lettere: […] il campo delle lettere fornisce in abbondanza frutti anche rigogliosi, gradevolissimi e che durano nel tempo, tant’è che non appena io stessa li ho assaggiati un pochino, […] messi spontaneamente da parte l’odiata conocchia e l’ago, attrezzi da donnetta, ho seguito la mia vocazione: malgrado alle donne gli studi non offrano né assicurino alcun vantaggio e alcun prestigio, tuttavia ritengo che chiunque dovrebbe intraprenderli e nutrirvi interesse […]
L’EPISTOLARIO
123 lettere (inviate, le più numerose, e ricevute) datate tra il 1487 e il 1498 e una in data 1521. Non è possibile dare qui conto di tutti i letterati che restarono ammirati dall’erudizione di Cassandra e ne scrissero le lodi. Un accenno particolare meritano le parole di Angelo Poliziano che a Venezia incontrò Cassandra e così scrisse di lei a Lorenzo il Magnifico:
Item visitai ieri sera quella letterata, Cassandra Fedele, e la salutai ecc. per vostra parte.È cosa, Lorenzo, mirabile, né meno in vulgare che in latino: discretissima etmeisoculisetiam bella. Partimi stupito.
E a Cassandra, in tono di riconoscimento ammirato di un intellettuale ad un’intellettuale:
[…] Nel nostro tempo, nel campo letterario pochi, anche tra gli uomini, hanno alzato il capo più in alto […] l’unica a venirne fuori sei tu, fanciulla, che maneggi il libro al posto della lana, la penna al posto del belletto, la scrittura al posto del ricamo e che non ricopri la pelle con il bianchetto ma il papiro con l’inchiostro.
Nella raccolta di lettere pervenute, al di là dei corrispondenti letterari si annoverano anche sovrani e papi. I riscontri che Cassandra riceve sono molti, ma l’ammirazione e i riconoscimenti non la salvano dall’indigenza.
Una vita difficile
Cassandra sembra destinata ad una vita straordinaria, se anche la regina di Spagna nel 1492 la invita a trasferirsi presso la sua corte. Il progetto viene impedito dal Senato della Serenissimache non intende rinunciare ad una concittadina tanto erudita e famosa da esibire nelle occasioni ufficiali. Ma nonostante la celebrità e la fama, Cassandra deve confrontarsi con serie difficoltà economiche. Probabilmente queste ristrettezze la inducono, a trentacinque anni, al matrimonio con un medico, con il quale si trasferisce a Creta. Cassandra abbandona così l’impegno letterario e culturale. Nel rientro a Venezia (1520) la coppia perde tutti gli averi in un naufragio e l’anno dopo muoiono il marito e il padre, lasciando Cassandra sola e sprovvista di mezzi. Nel 1547, a 82 anni, grazie all’ intercessione del papa Paolo III, viene eletta superiora dell’Ospitale (orfanatrofio per bambine) di S. Domenico di Castello in Venezia, che presiederà per dodici anni.
Una degna conclusione Orazione per Bona Sforza
Cassandra riappare in pubblico in occasione della visita a Venezia di Bona Sforza, regina di Polonia. Il Senato della Serenissima si ricorda della sua illustre figlia e affida a Cassandra, allora novantunenne, l’incarico di pronunciare quella che sarà la sua ultima orazione, Orazione per Bona Sforza: Purtroppo il peso degli anni rende sempre più deboli le forze del mio ingegno e mi distoglie da tanta gloria alla quale, seppure non per mia volontà, mi sono dedicata già da lungo tempo. In realtà dai suoi scritti si evince che la sua sia stata una consapevole volontà di gloria: […] tra me e me ho considerato che avrei potuto conseguire l’immortalità tra gli uomini. […] mi sforzerò di conseguirla proprio grazie agli studi liberali, come fossi un uomo, […] Penso effettivamente che in questa vita [una cosa] possa procurarmi l’immortalità e la felicità: […] il tempo generoso e soave che sin dalla più tenera età ho sempre dedicato allo studio delle lettere.