Alla Torre civica le opere di Maria Antonietta Mosele di Enzo Andreoli
Mostra “Amore per l’arte”
E’ stata presentata dal critico Luca Paonessa e dal maestro Paolo Sommaripa (presidente dell’Associazione AssoPleiadiArte), la mostra di pittura “Amore per l’arte” di Maria Antonietta Mosele Giorgioli e di Enzo Andreoli. I due esperti hanno delineato un profilo preciso e accurato del percorso artistico e dello stile dei due pittori, evidenziandone la grande differenza di espressione.
L’esposizione si è tenuta alla Torre civica dal 10 al 12 marzo 2023 e durante la prima giornata, si sono presentati il Commissario Prefettizio del Comune di Pomezia dott. Gianfranco Tomao e la Segretaria Generale dott.ssa Gloria Ruvo con tanto di seguito fotografico.
Le opere esposte dalla Mosele erano molte, di diversa dimensione e pur non essendo posizionate né in ordine cronologico, né in ordine di argomento, (riguardavano fiori, paesaggi, animali, ritratti di bimbi e di donne, maternità, una paternità, immagini figurative accanto a luoghi stilizzati e composizioni a collage) comunque hanno reso l’idea del percorso evolutivo compiuto dall’artista. I dipinti erano tutti eseguiti con matita, tempera su carta, olio su legno o tela oppure su cartone. Lo stile è classico, ma innovativo per quanto riguarda la maniera in cui i messaggi sono stati veicolati.
I dipinti di Andreoli erano otto, tutti olio su tela, di grandi dimensioni ed esposti in un percorso sequenziale: la donna, prima è sola e raccolta in sé, poi si alza e cammina verso l’uomo, in un secondo momento lo incontra, lo raccoglie e dopo c’è l’unione. Le opere sono state eseguite durante la pandemia poiché Andreoli si rendeva conto di quanto è labile la vita umana e precaria la sua esistenza. “La soluzione – dice il pittore - è nel trovarsi e nell’accordarsi sia sui problemi quotidiani sia su quelli planetari”.
L’artista vede una possibilità nel seguire l’esempio di alcuni grandi personaggi come Madre Teresa di Calcutta, la quale senza nulla, ma solo con le sue azioni, ha dato importanti insegnamenti a tutta l’umanità. La donna si trova in una posizione iniziale perché è generatrice di vita. L’uno trova completezza nell’altro in una sorta di equilibrio.
Durante i tre giorni c’è stata numerosa affluenza, hanno, infatti, visitato la mostra il poeta-giornalista Domenico Defelice, le varie Associazioni artistiche locali come le AssoPleiadiArte, l’Esperia, la Spiga d’oro e Il Convivio Artisti Lazio Latino Ardea/Pomezia 2014 di Elian, nonché i cittadini di Pomezia che dimostrano sempre di apprezzare l’arte in ogni sua forma.
Manuela Mazzola
100 anni dell’Aeronautica Militare
Alza bandiera solenne il 28 marzo presso l’aeroporto militare di Pratica di Mare per celebrare i cento anni della nostra Aeronautica Militare. All’alza bandiera ha presenziato il comandante della base aerea generale Alessandro De Lorenzo, reparti della base, associazioni d’Arma e numerose scolaresche del territorio.
I partecipanti hanno potuto anche assistere alla partenza degli aerei tra cui le Frecce Tricolori che hanno partecipato alle celebrazioni ufficiali per i cent’anni dell’Arma Aeronautica che si sono svolte a Roma alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e delle massime autorità civili e militari.
T.S.
Al Selva dei Pini una colonnina di rilevanza storica
La storia tra noi
Il dottor Giovanni Mattias ha scoperto una colonnina di rilevanza storica capitato chissà come nel complesso del Selva dei Pini.
“Entrando dalla Via Pontina - ci ha riferito il dottor Mattias - all’interno del complesso dell’ex Selva dei Pini, quasi nascosta in una aiuola, si trova una piccola colonna di calcare che ha una storia particolare: per raccontarla dobbiamo fare una digressione di oltre duemila anni. Il 23 febbraio per gli antichi romani era l’ultimo giorno dell’anno: anche per tale motivo in tale giorno si celebravano i Terminalia, festività legata a Giove Terminus, divinità che proteggeva i confini. La rappresentazione scultorea della divinità era semplicemente una pietra o un cippo conficcato nel suolo per dividere diverse proprietà.
In occasione della festività, i due proprietari dei due terreni adiacenti incoronavano la statua con ghirlande e innalzavano un altare, sul quale offrivano grano, miele e vino e sacrificavano un agnello o un piccolo maiale.
La festa pubblica in onore di questo dio era legata al territorio contiguo a Pomezia, in quanto veniva celebrata presso la pietra miliare del VI miglio sulla via Laurentina (la via che portava a Laurentum, città che distava solo sei miglia da Lavinium, ovvero Pratica di Mare), probabilmente per il fatto che questo fosse il limite originario dell’estensione del territorio di Roma in quella direzione. Numerosi e diversi sono stati i termini lapidei posti a confine nei secoli successivi tra tenute di ricche famiglie nobili, oppure tra diversi stati, per evitare controversie e stabilire un esatto confine per gestire le risorse del territorio. Tra i termini lapidei più noti e studiati vi sono quelli posti a cavallo tra il 1846 e il 1847 per stabilire i confini tra Stato Pontificio e Regno Borbonico. Tali cippi lapidei furono numerati da 1 a 649, partendo dalla foce del fiume Canneto (tra Fondi e Terracina), attraversando tutto l’appennino, fino ad arrivare presso la foce del fiume Tronto, a Porto d’Ascoli. Sui lati opposti di queste colonne, tutte della stessa dimensione, vennero incise la data di apposizione (1846 o 47) con le Chiavi di San Pietro che guardavano in direzione del territorio dello Stato Pontificio mentre il numero progressivo (1-649) con il Giglio in direzione del territorio del Regno Borbonico. In realtà i termini sono 686, poiché alcuni hanno lo stesso numero, seguito da una lettera alfabetica maiuscola. Una linea, scolpita sulla parte superiore della colonnina, indicava la direzione del confine e quindi la posizione del Termine precedente e di quello successivo. I Termini venivano ricavati da grosse rocce presenti lungo la linea di confine o da cave di pietra calcarea, grazie al lavoro di scalpellini, e poi trasportati a spalla da numerosi uomini sul luogo di apposizione; prima della messa in opera, veniva posto nelle fondazioni un medaglione in ghisa, all’interno di una scatola in legno come protezione. Con l’unificazione d’Italia la maggior parte dei Cippi furono rimossi dal loro posto originario alla ricerca dei medaglioni sotterrati, alcuni furono fatti rotolare lungo i pendii, altri distrutti, altri asportati e posizionati fuori contesto, magari davanti a chiese, piazze, cimiteri di paesi limitrofi al confine, oppure presso case private; fortunatamente alcuni furono lasciati nei luoghi originari, dove tutt’oggi possono essere visti.
Probabilmente proprio in occasione di uno di questi eventi il cippo 296 (la colonnina descritta all’inizio), venne trasportato a Pomezia in un periodo ignoto e spostato dalla sua posizione originale presso il fosso Fioio, situata tra Campo Rotondo (frazione di cappadocia) e Camerata Nuova. Un testimone di tanti racconti di passaggio, con una lunga storia alle spalle, che sicuramente non avrà un termine”.
A.S.