ROMA CAPITALE D’ITALIA
Fine del potere temporale papale
16ª parte
di Francesco Bonanniù
All’inizio del Trecento il Papato divenne una grande Potenza sia politica che finanziaria.
A sancire tale potere fu Benedetto Caetani che divenne Papa col nome di Bonifacio VIII.
Se’ tu già costì ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi menti lo scritto.
(Dante Alighieri, Inferno, XIX)
Questo Pontefice, tanto vituperato da Dante nella Divina Commedia e appartenente ad una importante famiglia di Anagni, fu eletto al Soglio Pontificio nel Conclave di Napoli nel 1294 a seguito della “forzata” rinuncia di Celestino V.
Appena eletto decise il trasferimento della Corte Papale da Napoli a Roma ove il 22 gennaio del 1295 fu incoronato Sommo Pontefice.
Papa Celestino subito dopo la rinuncia fuggì lontano dalla Sede Pontificia per tornare alla vita eremitica ma, catturato dalle truppe angioine, fu consegnato a Bonifacio VIII che lo fece rinchiudere prima nella sua residenza ad Anagni e successivamente nella Rocca di Fumone, nelle vicinanze di Alatri, ove morì il 19 maggio 1295 in circostanze poco chiare.
Bonifacio svolse un ruolo di primo piano nella politica dell’epoca. Più che un uomo di Chiesa fu un attivo protagonista della Politica Europea.
Appena eletto si impegnò a risolvere la controversia, che si protraeva sin dal 1282 (dall’epoca dei Vespri Siciliani), tra gli Angioini e gli Aragonesi per il dominio della Sicilia.
I due rivali erano il Re di Napoli, Carlo II d’Angiò, sostenuto dal Papa e il Re di Sicilia Federico III d’Aragona.
Dopo alterne vicende nel 1442 il vincitore risultò l’Aragonese Alfonso che oltre il Regno di Sicilia acquisì il Reno di Napoli.
Per Bonifacio fu una pesante sconfitta politica che rappresentò il primo dei vari suoi insuccessi in Politica Europea, in gran parte dovuti alla sua esasperata concezione teocratica secondo la quale, sulla scia dei suoi illustri predecessori (Gregorio VII, Innocenzo III e Gregorio IX), la Pontificia Auctoritas fosse superiore al Potere di tutti i Regnanti, i quali in quanto battezzati erano sottoposti come tutti gli altri Fedeli alla guida spirituale e politica della Chiesa.
Quindi secondo Papa Bonifacio, essendo il Pontefice il Capo della Cristianità, nella concezione gerarchica medievale il Potere Spirituale aveva il compito di guidare quello temporale.
Cioè il Sacerdotium egemone sull’Imperium.
Tale concezione aveva delle implicazioni anche sul piano politico-economico.
Difatti Bonifacio appena eletto Pontefice emanò la bolla Clericis Laicos nella quale ribadiva la proibizione ai laici, sotto pena di scomunica, di tassare gli Ecclesiastici
OMAR KHAYYAM,
il matematico che amava la vita
di Sergio Bedeschi
UN NOME SCONOSCIUTO?
Di lui il mondo occidentale sa poco o niente. Io, di lui, me ne accorsi parecchi anni fa studiando Epicuro e Lucrezio, ma poi anche, e soprattutto, occupandomi di Geometria e di Matematica. Un nome sconosciuto ai più: eppure è a lui, e non da oggi, che è intitolato un cratere sulla Luna oltre che un asteroide scoperto di recente. Una sua quartina (è stato anche un poeta) è citata da D’Annunzio nel “Notturno”. Lo cantano Guccini e De André nelle loro canzoni. Fu assunto come punto di partenza dai nostri grandi matematici del ‘500, Gerolamo Cardano, Scipione Del Ferro, Nicolò Fontana (il Tartaglia). A Neyshabur, la cittadina dove nacque il 28 maggio 1037 in Persia non lontano dal Mar Caspio, vi è uno stupendo Mausoleo a lui intitolato con grandi sculture ispirate alle sue conquiste nel mondo della Geometria. Ma allora chi è questo signor “Nessuno”?
L’INCONTRO AI GIARDINI PUBBLICI
Io lo incontrai per la prima volta a Bucarest, quasi per caso, bighellonando tra un volo e l’altro nei Giardini Pubblici della città. Mi imbattei sul suo busto in marmo posto nel bel mezzo di un’aiuola curatissima: fu amore a prima vista. Le sue quartine così vive, polemiche, non raramente rancorose, contro le ipocrisie del mondo e perfino contro Dio del quale critica l’imperfezione del suo maldestro progetto creativo, non possono lasciare indifferenti. Fu dunque scienziato, astronomo, filosofo e poeta. E probabilmente tanto altro. I suoi studi matematici mi hanno spesso accompagnato nella vita: le sue intuizioni nel mondo della nascente Algebra islamica e la sua preveggenza nell’accostare Algebra e Geometria, che ne fanno il maggior anticipatore dell’Era Cartesiana nell’Europa di sei secoli dopo, non hanno mai cessato di ammaliarmi.
L’EQUAZIONE DI TERZO GRADO
Si avventurò nel grande enigma delle equazioni di terzo grado, allora considerate fuori da ogni possibilità. Trovò delle soluzioni, con approssimazioni assolutamente apprezzabili, utilizzando l’intersezione tra due parabole. Come poteva esser giunta fin lì, al sorgere del secondo millennio, in modo così esauriente e geniale, la Geometria dell’Antica Grecia e la grande lezione di Claudio Tolomeo da Alessandria d’Egitto? Perché è di tali esperienze che egli probabilmente si servì. Oggi riesce difficile digerire di come una testa sola, peraltro così isolata in se stessa, abbia potuto concepire tali visioni. Confesso che tale specifica impresa, cioè l’equazione di terzo grado, occupa a tutt’oggi molte delle mie serate sui libri di Matematica e di Storia per il fascino che può esercitare il raggiungimento di grandi vette con piccolissimi mezzi. Come già accennato, cinquecento anni dopo lo stesso problema sarebbe stato affrontato dai matematici del Rinascimento. Ora i mezzi a disposizione erano più generosi, ma a nessuno sfuggì che gli ostacoli che aveva incontrato Khayyam (in parte superati) annunciavano al mondo l’avvento di un nuovo Universo numerico, quello dei Numeri Immaginari. Universo che si schiuse completamente nell’era successiva dell’Illuminismo quando uno svizzero di Basilea (Eulero), peraltro diventato cieco troppo presto (altro mistero nei misteri), organizzò quel fantasmagorico mondo composto dai numeri immaginari in una disciplina logica e utilizzabile per tutta la Scienza del domani.
BIBENDUM EST
Chi avrebbe mai potuto prevedere che alla fine dell’Ottocento quegli stravaganti numeri, inesistenti nel reale, numeri fantasmi come qualcuno li chiamava, avrebbero consentito agli Atomisti e ai Quantisti del Novecento di descrivere la Funzione d’Onda e le stranezze della modernità? A questo hanno portato i pensieri e le intuizione di Omar Khayyam. Vedete: era un sapiente, però uno di quelli che non sanno e non vogliono rinunciare alle gioie della vita. I suoi canti sono un continuo inno alle feste, al godimento, all’ebbrezza del vino e alla ricerca di una felicità terrena mai smodata che ricorda da vicino gli ozi di Epicuro e il “carpe diem” di Orazio. Cosa volete che vi dica? Io me lo immagino con il bicchiere di vino da una parte e l’equazione di terzo grado dall’altra: bibendum est/ora bisogna bere!