Segnalati a Lavinio numerosi tentativi contro gli animali randagi
Esche avvelenate
Da alcune settimane a questa parte un signore di buona volontà, trovando per caso questi strani oggetti presso la Piazza di Lavinio mare e avendo saputo della loro pericolosità nei confronti degli animali, dedica parte della propria giornata alla bonifica di piazza Lavinia e delle strade vicine. Si è costruito un bastone con la punta e man mano che trova queste spugne le infilza con il proprio bastone, come a voler infilzare parte di quella malvagità delle persone che fanno del male agli animali. Si tratta di semplici pezzetti di gommapiuma, dall’apparenza innocua, ma che tanto innocui potrebbero non esserlo. Questo tipo di esca infatti sfrutta proprio la caratteristica del materiale di gonfiarsi una volta bagnato, quindi, quando ingerito. Generalmente la gommapiuma viene resa appetibile con del sapore di cibo ripassandola nell’olio avanzato o della carne o del pesce. Questo tipo di esche ha una lunga storia sul territorio nazionale. Nasce ai confini delle zone venatorie di caccia, ed è stata utilizzata dai cacciatori in passato non per cacciare ma per eliminare altri predatori loro concorrenti. Successivamente è stata vietata in base alle Leggi a maggiore tutela degli animali, anche se purtroppo continua ad essere utilizzata nelle sue diverse forme. Basta fare una ricerca in internet per vedere i vari casi. Può essere fritta nella pastella o essere solo pezzi di gommapiuma spugna resi appetibili ed eventualmente avvelenati. Chiunque prepara una cosa del genere o altri tipi di esca è un mostro! Da come racconta l’uomo che cerca queste piccole spugne per strada egli ha iniziato a raccoglierle dai primi di marzo, ad una media di circa 10 al giorno, e gli è capitato di riconoscerle anche in altre zone, come Lavinio stazione e sulla Ardeatina.
In questi ultimi giorni pare stiano comunque diminuendo. Il fatto che siano stati ritrovati all’interno delle aiuole, lungo i bordi delle strade, tra i pali della luce e le colonnine di servizio dove gli animali si fermano generalmente, e vicino ai cancelli, mostra l’intenzionalità del posizionamento. Ed il fatto che siano stati rinvenuti sia pezzetti piccoli e sia pezzetti più grandi li rende pericolosi per più animali: cani, merli, piccioni, ricci e gatti. UPA DA è entrata in contatto con l’uomo che raccoglie questi pezzetti e per prima cosa ha portato il campione delle esche alla visione di un veterinario per sentire l’opinione di un esperto il quale ha confermato che si poteva trattare di esche, probabilmente con anche una base di veleno. A questo punto è stata seguita la procedura prevista dal portale nazionale degli avvelenamenti dolosi, ottima iniziativa istituita a luglio 2019 tramite Ordinanza dal Ministero della Salute in collaborazione con l’IZSLT. Questa procedura è finalizzata ad una mappatura nazionale dei casi accertati di avvelenamento, che avviene dopo esame tossicologico effettuato dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di competenza del territorio, dà una ottima possibilità di indagine diagnostica sugli animali deceduti per sospetto avvelenamento, sull’eventuale materiale biologico animale e sulle esche, proprio per individuare e contenere questo fenomeno, e comunica in modo informatizzato ed automatico con le istituzioni territoriali di competenza quali Comune e Asl già al primo passaggio di indagine diagnostica per sospetto avvelenamento. Se poi l’esame tossicologico dovesse confermare un caso di accertato o tentato avvelenamento la comunicazione partirebbe dal Portale per arrivare nella Procura competente, quindi alle Forze dell’Ordine. Avvelenare un animale o confezionare e spargere esche sul territorio è un reato penale. Non sappiamo ancora se nelle esche rinvenute ci sia traccia di veleno. Per l’esame tossicologico ci vogliono alcuni giorni. In ogni caso le esche in spugna sono letali anche senza la presenza di veleno se vengono rese appetibili. Se invece si dovesse trattare solo di pezzetti di gommapiuma né resi appetibili con il sapore di cibo e né imbevuti nel veleno non si possono considerare esche, ma è comunque pericoloso per il cane o altro animale ingerirli. In ogni caso, se vi capita di vedere questi strani oggetti, anche uno solo, procedete a rimuoverlo, possibilmente con dei guanti o con un fazzoletto ed inviate una mail con foto e indicazione del luogo del ritrovamento a upadifesaanimali@gmail.com che sta seguendo direttamente questa e altre questioni a difesa degli animali sul territorio. Prima di chiudere vorrei fare alcune riflessioni. Se una persona trova un esca avvelenata o pericolosa o che pensa che lo sia, la cosa immediatamente più sensata da fare è quella di rimuoverla e di portarla da un veterinario per un consulto. Successivamente l’esca deve comunque essere portata all’Izslt per eventuale esame tossicologico. Se si chiamano i vigili urbani o le Guardie zoofile entrambi non hanno la funzione di trasporto dell’esca. Il trasporto dell’esca rimane quindi un problema, o a carico di chi ha rinvenuto l’esca, o a carico, (forse) del veterinario. Non sarebbe il caso di prevedere una soluzione di trasporto dal territorio per questa eventualità? Altra riflessione: Probabilmente, considerando che negli anni a questa parte non sono quasi mai state trovate esche e richieste indagini diagnostiche su di esse nonostante il fenomeno degli avvelenamenti sia comunque presente anche nel nostro territorio come in altri, e considerando che quando si parla di procedura del portale nazionale degli avvelenamenti dolosi molti non sanno cosa sia e la procedura non viene ancora adeguatamente utilizzata in tutta la sua potenzialità nemmeno dagli stessi veterinari, allora, forse è per questo che siamo sembrati troppo attivi, e per questo criticati. Non mancano mai le critiche e sicuramente abbiamo da migliorare. Facciamo comunque presente che nel modus operandi che attuiamo, che è quello di documentarci bene su una tematica prima di agire, dato che seguiamo la tematica degli avvelenamenti anche da prima di questo caso delle sospette esche, abbiamo avuto modo di conoscere le nuove disposizioni Ministeriali in materia 2019 in collaborazione con l’Izslt, ed anche se è vero che non tutti i casi di sospetto avvelenamento o di sospetta esca vengono poi confermati dagli esami, è altrettanto vero che poterli accertare è una grande e giusta possibilità per il bene di tutti. Grazie per la collaborazione!
Angela Ambrosi
Madonna delle Grazie
È giunta presso la Collegiata San Giovanni la Madonna delle Grazie. Anche quest’anno a causa dell’emergenza sanitaria non si terranno le tradizionali processioni di andata e ritorno, ma l’effige della Madonna attenderà i fedeli per l’intera settimana presso la Chiesa di San Giovanni dove in fedeli potranno rendergli omaggio nel rispetto delle norme sanitarie vigenti. Ad accompagnare dal Santuario a San Giovanni questa sera la statua della Madonna delle Grazie il Sindaco Alessandro Coppola.
“ E’ un onore per me oggi rendere omaggio alla nostra Patrona, la Madonna delle Grazie, e sono ancora più onorato di poterlo fare in qualità di Sindaco della mia amata città - dichiara il Sindaco Alessandro Coppola - Non nego che mi addolora non poter, anche quest’anno, accompagnare in Processione la Madonna. La Festa di maggio è da sempre per noi nettunesi, sin da quando siamo bambini, un momento di unione, condivisione, partecipazione e di profonda devozione. Tutti sentimenti che dobbiamo sentire ancora più forti dentro di noi, in un periodo storico che mai ci saremo immaginati di affrontare. La Madonna delle Grazie per noi nettunesi è da sempre un simbolo di speranza e oggi più che mai dobbiamo affidarci a lei e alla sua guida, pregando di uscire quanto prima da questa pandemia e dalla conseguente crisi economica e sociale che ha messo in difficoltà tantissimi nostri concittadini a cui rivolgo oggi il mio più caro pensiero, unitamente a tutte quelle persone che hanno perso una persona cara durante questa emergenza sanitaria causata dal Coronavirus. Nella sera in cui si sarebbe dovuta svolgere la processione di andata, invito tutti i cittadini di Nettuno, come lo scorso anno, ad esporre fuori dai propri balconi una candela in onore della nostra Madonna delle Grazie. Un segnale segno di speranza per un futuro migliore in cui le sofferenze e le difficoltà di questi 14 mesi saranno solo un brutto ricordo”.
Comune di Nettuno
“La guerra dei Borboni contro il colera” di Gigi Di Fiore
Pandemia 1836
Gigi Di Fiore, “Pandemia 1836. La guerra dei Borboni contro il colera”, U.T.E.T., 2020
Nonostante i quasi due secoli trascorsi, le molte scoperte scientifiche, i miglioramenti delle condizioni generali di vita ecc., risulta sorprendente constatare come l’oscuro morbo che sconvolse l’Europa nella prima metà dell’800, sia assimilabile all’altrettanto oscuro ed ignoto virus che minaccia oggi le nostre esistenze a livello planetario. Forse, una delle cose che ci distingue da due secoli fa è proprio questa planetarietà, la portata mondiale del Covid 19; di allora rispetto questa globalità si sa ben poco, certo è che il morbo, comunque, coinvolse , con diversi gradi di intensità, quasi tutta l’Europa. Il parallelismo fra la pandemia di oggi e quella del 1836 è tale che le incognite di oggi, ma anche le accuse, le colpevolizzazioni, le contraddizioni, sono quasi del tutto sovrapponibili. Anche allora destava interesse il problema della tracciabilità del virus, tanto che -non essendoci app e smartphone- si ricorreva ad un segno di croce ufficiale sulla porta di casa dove il colera aveva colpito: croce unica se l’abitazione ormai era disabitata, croce doppia se invece la casa era ancora abitata da parenti e famigliari della persona contagiata (allora non c’erano problemi di privacy). Di questo colera allora si cercavano le origini nel mondo animale o dell’area geografica di provenienza: si diceva l’India, come oggi si dice della Cina. Come il Covid, anche il Colera era un morbo sconosciuto, misterioso, proveniente da un mondo arcaico, avulso ed altro rispetto le società che flagellava contraddistinte da un certo livello di evoluta civiltà; le sicurezze fornite dalle scoperte scientifiche di allora, la fiducia nel progresso, il positivismo, la rivoluzione industriale tutto ciò veniva messo in discussione ed ipotecato. Anche la pandemia ottocentesca interessò in particolare le istituzioni totali, soprattutto nel regno governato dai Borboni: allora i ricoveri per malati poveri, emarginati e senza famiglia, i cronicari, i lazzaretti; adesso le case di riposo, R.S.A., e le case di cura. Anche allora vi furono due fasi, soprattutto in Campania: nell’autunno-inverno vi furono 5669 vittime, poi la furia calò, ma dopo 7-8 mesi la pandemia riprese e le vittime furono13798. Anche allora le fasi furono due, come la cosiddetta ‘spagnola’ del 1918-20 e come in quasi tutte le pandemia di cui si hanno notizie storicamente accertate.
Si direbbe proprio che la Storia si ripete e il terrore della pandemia si traduce in un terrore ancestrale, un archetipo che fa parte del nostro inconscio collettivo, anche nostro: uomini del terzo millennio, dalla tragedia di Edipo ai giorni nostri. Ricostruire e ripercorrere analiticamente la Storia ci può aiutare a comprendere meglio il presente e forse anche a limitarne le paure e gli effetti devastanti sulla psiche.
Giuseppe Chitarrini
Io sto a casa
Per difendere le popolazioni dal tragico tributo di vite umane causato dalla diffusione planetaria del Virus Covid-19 e varianti, gli Stati elaborano diverse strategie che spesso alla resa dei conti risultano essere ampiamente controproducenti, come nel caso del nostro precedente governo e fanno ricorso alla mobilitazione delle industrie farmaceutiche per la produzione di vaccini.
Ma, a quanto pare, i risultati sono stati tutt’altro che brillanti.
Dopo diversi mesi di io sto a casa, il premier Conte che si vantava di essere stato di esempio all’intera Europa, è stato clamorosamente smentito dal tragico numero di decessi, record mondiale in rapporto alla popolazione.
Adesso è imputato per strage innanzi al Tribunale della Capitale.
Perché non proviamo a ribaltare il modus operandi, l’approccio al problema?
Immaginiamo di amare il virus come se fosse il nostro figlio prediletto e quindi di studiare come proteggerlo.
Certamente gli impediremo di uscire da casa, dai luoghi chiusi, dalle RSA, lo obbligheremo a starsene al calduccio e meno che mai lo faremo uscire all’aperto con il rischio di subire l’attacco dei raggi solari assolutamente micidiali per il caro, amato virus. Non lo faremo andare sulle nostre numerose e invitanti spiagge marine, nei parchi pubblici, in montagna. Questa strategia è esattamente quella adottata dal precedente governo italiano e sia pure più blandamente anche dal governo attuale. Stare in casa, evitare di uscire all’aperto, evitare di prendere il sole sulle spiagge o nei parchi, o a sciare.
Questa è la strategia da adottare se amiamo il virus se invece lo vogliamo combattere dobbiamo fare esattamente il contrario
Cesare Zaccaria