Dal libro “Pomezia Origini Genti e Personaggi” scritto dal professor Antonio Sessa ed edito dalla Angelo Capriotti Editore nel 1990
Il 29 ottobre 1939 venne inaugurata Pomezia
Continuiamo la pubblicazione del libro “Pomezia Origini- Genti –Personaggi” realizzato dal prof. Antonio Sessa ed edito nel 1990 dalla Angelo Capriotti Editore riportando il capitolo dedicato all’Inaugurazione di Pomezia.
29 ottobre 1939:
si festeggia la nuova città
Il 29 ottobre venne inaugurata la quinta città dell’Agro, Pomezia. La Domenica del Corriere del 5-11 novembre 1939 -XVII pubblicò in copertina una foto di Mussolini, mentre parlava dalla terrazza accanto alla torre a una moltitudine in festa. La guerra, che insanguinava l’Europa già dal 1° settembre di quell’anno, sembrava essere lontana. Ecco ricostruita, attraverso i giornali dell’epoca, la cronaca di quel 29 ottobre 1939, prima ad Ardea e poi a Pomezia, per l’inaugurazione della città.
Poco dopo le 14.30 il Duce, accompagnato dal presidente dell’O. N.C. Onorevole Di Crollalanza, raggiunse Ardea con un notevole seguito di autorità. Ad attenderlo nella piazza centrale, trovò le organizzazioni di partito e le formazioni giovanili e la gente di Ardea. Mussolini visita la casa del fascio in piazza, dette disposizioni al Commissario Prefettizio Aurelio Leone per la consegna della somma di L. 25.000 alle famiglie numerose; dispose inoltre per l’immediata costruzione dell’edificio scolastico e dell’asilo infantile; chiese che si disponesse con urgenza il ripristino della Chiesa e la “rimessa in valore” della zona archeologica; ordinò infine la costruzione di altri trenta alloggi di case popolari. La sosta ad Ardea si concluse con la benedizione dell’area sulla quale sorse in seguito l’asilo infantile e con la visita in una casa colonica ancora da assegnare. Il corteo si spostò da Ardea a Pomezia, non senza essersi prima fermato a visitare due poderi già abitati da romagnoli.
Alle ore 15.30 il corteo entrò a Pomezia per via Roma, sui cui lati furono schierati militi delle Camicie Nere. Sulla storica piazza dell’Impero (ora piazza Indipendenza) facevano bella mostra la torre, il municipio, la chiesa, l’ufficio postale, la casa del fascio, anche se non tutti gli edifici risultavano con gli interni completati. La gente fu, inutile dirlo, tanta. Mussolini salì con le autorità sul podio appositamente preparato fra le acclamazioni della folla. Davanti al palco venne portato il gonfalone del Comune che fu benedetto dal Vescovo Mons. Guglielmo Grassi il quale, dopo una semplice cerimonia, pronunciò un breve discorso augurale. Dopo di lui prese la parola l’On. Di Crollalanza, presidente del l’O. N.C., che mise in risalto gli importanti risultati ottenuti “nella battaglia per la redenzione dell’Agro Pontino-Romano”.
Terminato, fra applausi e ovazioni questo intervento, il Duce premiò 345 rurali meritevoli delle altre quattro città dell’Agro (Littoria, Sabaudia, Pontinia, Aprilia) ai quali consegnò un attestato e mille lire. Ultimata la premiazione, Mussolini visitò la casa del fascio, la chiesa, il palazzo delle poste, la sede della G.I.L. e l’asilo. Salì quindi al palazzo municipale e si affacciò al terrazzo adiacente alla torre. E qui, fra mani alzate nel saluto fascista, acclamazioni frequenti e applausi ripetuti, pronunciò un breve discorso.
Eccolo riportato da “Messaggero” del 30 ottobre 1939: “L’anno XVII dell’Era Fascista non potrebbe cominciare sotto auspici migliori. Comincia con l’inaugurazione di Pomezia, quinto Comune dell’Agro Pontino-Romano redento, oggi il più giovane comune d’Italia. La battaglia contro la mortifera palude è durata dieci anni, ma oggi qui possiamo esaltare la nostra piena ed indiscutibile vittoria. Vittoria sulle forze disordinate della inerzia dei vecchi governi che furono e non torneranno. Per questa vittoria abbiamo impegnato manipoli di ingegneri, falangi di tecnici, moltitudini di impiegati che hanno tracciato strade, scavato canali, costruito case per riporre la vita là dove regnava la morte. Se il regime fascista nei primi diciassette anni di vita non avesse al suo attivo altra opera che quella della bonifica delle paludi pontine, ciò basterebbe per raccomandare la gloria e la potenza ai secoli che verranno. Ma il regime ha al suo attivo altre formidabili imprese ed è ben lungi dall’avere esaurito il suo ciclo e soprattutto la forza indomabile della sua volontà. Camerati rurali! Mettetevi subito al lavoro con quella intelligente tenacia che è un peculiare attributo della razza italiana, portate - nel Vostro interesse ed in quello della Nazione - al massimo della fecondità la terra che attende la vostra fatica. Questi poderi che vi vengono consegnati dalla molto benemerita Opera Nazionale Combattenti, un giorno potranno essere vostri e dei vostri figli. Dipende soltanto da voi”.
La folla, numerosissima, era festante. Fu uno degli ultimi bagliori del regime: di lì a poco, nel giugno del 1940, l’Italia entrerà in guerra e sarà l’inizio dell’inesorabile caduta. Terminata la cerimonia il corteo si recò in auto a Campo Iemini, nella tenuta degli Sforza-Cesarini, dove giunse poco prima delle 17.00, atteso dalla duchessa Sforza-Cesarini e da un gran numero di rurali. A Mussolini venne mostrata una planimetria che illustrava “... la potenza e l’ampiezza dell’appoderamento...”.
Terminata anche questa cerimonia, il Duce risalì in automobile e, percorrendo la strada di Decima, ritornò a Roma.
Qualcuno restò a casa
Il giorno dell’inaugurazione, il 29 ottobre 1939, una famiglia non andò in piazza a festeggiare il Duce.
“Di origine lombarda, proveniente dalla Francia - racconta Angelo Saietti - la mia famiglia arrivò a Pomezia nel luglio del 1939. Eravamo in nove, due genitori e sette figli; io avevo 14 anni. Ci fu assegnato il podere 2953 a via Naro. Già dall’alba di quel 29 ottobre eravamo eccitati, perché si andava ad assistere alla cerimonia a Pomezia. Verso le 7.30 arrivarono due militi fascisti con le motociclette e rimasero con noi al podere, tutto il giorno, vietando a tutta la famiglia di uscire. Unica eccezione venne fatta per me, il più piccolo di casa, al quale fu consentito di uscire per acquistare roba da mangiare. Solo verso le 17.00 i militi andarono via. La cosa apparve strana, in considerazione che nessuno dei miei fratelli era antifascista; anzi, il primo era iscritto al partito. Certo erano “svegli” e anche “lesti con le mani”; ma forse non fu questo il motivo dell’adozione di un tale provvedimento così grave. Chiedemmo a Pomezia e a Roma, ma nessuno ci volle mai spiegare i motivi di quella decisione nei confronti della mia famiglia”.
Anche per la famiglia Saietti, sicuramente, l’unica colpa era di essere rientrati dalla vicina Francia.