Antimo Marandola ha pubblicato il libro “Le mani sporche della chiesa nella Shoà”
L’invenzione dell’antisemitismo
Chi ha inventato l’antisemitismo? Per cercare di rispondere a questa domanda ho scritto e pubblicato il libro “Le mani sporche della chiesa nella Shoà”. Nelle 1060 pagine sono raccolti i frutti di 11 anni di ricerca negli archivi, tra cui quelli vaticani, perché ho inteso far parlare i documenti originali. Ne è scaturito che certamente non è stato Hitler ad inventare l’antisemitismo ma l’ha trovato già pronto dopo l’invenzione, la raffinazione, la predicazione e l’attuazione da parte della chiesa cattolica per 2000 anni. Andando indietro nei secoli, si arriva alla scrittura dei Vangeli come motore immobile in cui appaiono l’invenzione di Barabba, del processo a Gesù e quindi del deicidio che nella storia, ha comportato milioni di morti. La ricerca ha spaziato in 23 paesi del mondo per dimostrare che l’antisemitismo era presente in tutti gli strati del clero, in tutto il mondo e non era affatto un fenomeno che può essere ristretto alla sola Germania e all’Italia. Per capire la radicazione dell’antisemitismo è importante andare a studiare la guerra dei Cristeros in Messico, ma anche le teocrazie come quella della Slovacchia e della Croazia e la “ruberia delle bonifiche pontine” a cui dedico un intero paragrafo.
In Slovacchia ci fu un caso emblematico. Il Presidente della Repubblica, alleato di hitler, era un prete, Don Tiso che si vantava di aver reso la Slovacchia il primo paese al mondo libero da ebrei, avendone spediti ad Auschwitz ben 80.000. Ma la cosa più allucinante è che lo stesso Don Tiso, ordinò che le ragazzine ebree dai 15 ai 25 anni, fossero spedite nei bordelli dell’esercito tedesco sul fronte russo. Tutto queste notizie non sono illazioni di qualche storico ma derivano da precisi e dettagliati rapporti che giornalmente faceva Don Burzio alla Segreteria di Stato di Roma. Don Burzio era stato inviato a Bratislava dal Vaticano come Incaricato d’affari proprio per conoscere nel dettaglio quanto succedeva nel paese guidato da un prete.
E Don Burzio raccontava la nuda realtà. Ancora più agghiacciante è il fatto che sulla relazione che comunicava l’avvenuta partenza delle ragazzine verso i bordelli, compare una annotazione del Cardinale Tardini: “Visto dal Santo Padre”! Mai queste tre parole furono usate con maggiore cinismo e crudeltà! “Visto”, come se si trattasse di una pratica burocratica di scarso interesse che si può archiviare, come in effetti avvenne, senza scomporsi minimamente; “Santo”, come si fa ad essere santi se si rimane impassibili dinanzi a un simile obbrobrio che avrebbe fatto vergognare anche il più incallito boss mafioso? “Padre”, mai questa parola fu stuprata in modo così volgare! Quale padre sarebbe rimasto impassibile davanti alla deportazione verso i bordelli della sua bambina? Un vero padre, ma anche un semplice essere umano avrebbe urlato al mondo che si era raggiunto il limite della sopportazione ed avrebbe invocato azioni concrete per fermare quei treni.
Don Tiso non è stato mai scomunicato e, anzi, quando morì impiccato dai russi, in San Pietro fu celebrato un Te Deum in ricordo.
Ma gli orrori sono stati perpetrati in tutti i secoli, a tutte le latitudini. Nel sud america, i preti che accompagnavano i conquistadores, si trovarono di fronte al dilemma di cosa inventare per giustificare teologicamente lo sterminio dei nativi. Il problema fu risolto con la “scoperta” che gli indios erano ebrei e quindi teologicamente massacrabili. Il primo a parlarne, all’inizio del 1500, fu il religioso spagnolo dottor Roldan, seguito da una masnada di intellettuali del clero tra cui il francescano Motolina, il domenicano Diego Duran, il francescano Juan de Torquemada, il domenicano Bartolomè de Las Casas, il gesuita Federico Lumnio, Isidoro de Isolano, il canonico Juan de Cano, Diego Andres Rocha docente di diritto romano all’Università di San Marcos di Lima, il domenicano Tomas Ortiz, il domenicano Alonso de Hojeda, il frate Hermando de Talavera dell’Ordine di San Girolamo.
Queste drammatiche realtà storiche, nel corso dei decenni, sono state sepolte sotto una marea di balle, che oggi chiameremmo fake news. La più vecchia, che venne usata subito dopo la fine della guerra, è che il Papa non sapeva. Con il passar del tempo e l’affiorare dei lavori storiografici che hanno ampiamente dimostrato che il Papa e tutto il clero erano ampiamente informati di ogni particolare, tale balla è stata abbandonata e si è passati alla balla che tutt’ora cerca di rimanere a galla: il Papa non è intervenuto per non provocare guai maggiori. La storia della chiesa ortodossa bulgara dimostra esattamente il contrario!
Quando in Bulgaria i tedeschi, alleati dei bulgari, dissero che si accingevano a deportare gli ebrei di quel paese, ci fu una vibrante protesta. Il Primate ortodosso bulgaro, in un Te Deum nella cattedrale di Sofia, disse che per deportare un solo ebreo bulgaro sarebbero dovuti passare sul suo cadavere e che si sarebbe sdraiato sui binari. Per rendere ancora più palese lil suo monito aggiunse che da quel giorno avrebbe ospitato a casa sua il Rabbino Capo di Sofia. L’ambasciatore tedesco in Bulgaria telegrafò a Berlino i termini della questione specificando che se avessero provato a deportare gli ebrei, sarebbe scoppiata una rivoluzione che le forze tedesche non sarebbero state in grado di fronteggiare. La risposta di Berlino fu di rinunciare alla deportazione degli ebrei bulgari.
Altra balla che ancora circola è quella che attribuisce alla chiesa di aver salvato decine di migliaia di ebrei. Intanto occorre specificare che gli ebrei in Italia, in totale, erano all’epoca 15.000. Sottraendo i morti nei campi, i deportati, gli emigrati, i nascosti in altre situazioni, gli ebrei alla macchia che combatterono nella Resistenza o nella Brigata ebraica, è evidente che i conti non tornano. Dall’esame della corrispondenza riservata intercorsa a vari livelli è inoltre chiaro che la chiesa con la parola ebrei intendeva gli ebrei convertiti al cattolicesimo e non gli ebrei in quanto tali. Va inoltre precisato che gli ebrei effettivamente ospitati in siti religiosi erano quella sparuta minoranza che poteva permettersi di pagare le carissime rette che venivano richieste dopo cinque anni in cui erano stati costretti a vivere di nascosto, senza tessera alimentare, senza poter lavorare, senza assistenza medica, con vecchi e bambini a carico, con la minaccia continua di essere venduti dal vicino di casa. Ci sono stati degli ecclesiastici che hanno ospitato ebrei rischiando la loro vita ma quei pochi sono stati onorati da Israele con la massima onorificenza di Giusto tra le Nazioni. In ogni caso, i Giusti tra le nazioni hanno testimoniato che hanno soccorso gli ebrei per loro iniziativa personale senza alcun imput del Vaticano. Anzi, hanno dichiarato di averlo fatto di nascosto anche del Vaticano perché non volevano essere redarguiti come nel caso del Collegio Lombardo di Roma. A tal proposito esiste una fitta corrispondenza tra il Collegio e il Vaticano che ordinò di cacciare via tutti i rifugiati ospitati. Una riprova della matrice cattolica dell’antisemitismo ci viene dall’esame di quanto successe in Giappone. In Giappone, alleato di Hitler, non ci fu antisemitismo. E non ce n’è traccia neppure oggi perchè la Comunità Ebraica non ha mai praticato il proselitismo e quindi non è mai stata avvertita come una minaccia ai loro usi e costumi come invece avvenne con i missionari cattolici. Oggi la Comunità è molto stimata e rispettata perché molto impegnata nel sociale con una cospicua giornaliera distribuzione di cibo ai poveri, senza alcun contributo pubblico. Il caso Giappone – e la stessa cosa vale per la Cina - conferma inoltre che la presenza dell’antisemitismo è inversamente proporzionale alla presenza della chiesa cattolica.
Le fake news vengono poi platealmente smentite dal fatto che la chiesa cattolica, fino ad oggi, ha chiesto perdono agli ebrei e non solo. Ha chiesto perdono per 95 volte alle varie categorie di vittime. Almeno per quanto riguarda gli ebrei, la richiesta è stata considerata offensiva e nessuno si è permesso di accennare alla concessione del perdono.
Tutto quanto raccontato in questo articolo, per ovvie ragioni di spazio, non riporta i riferimenti alle fonti documentali, ma nel libro, ogni singola parola è ampiamente corredata dalle note sulle fonti di rifermento.
Antimo Marandola
Presentato il progetto di street art del Comune di Pomezia
Raggi di futuro
A Pomezia la scuola si fa Arte. Presentato il progetto di street art del Comune di Pomezia in collaborazione con le scuole superiori e gli artisti SoloDiamond.
Il Sindaco di Pomezia Adriano Zuccalà ha presentato venerdì 18 febbraio, presso l’aula magna del liceo Picasso, il progetto “Raggi di futuro. A Pomezia la scuola si fa Arte”, un percorso avviato a settembre scorso dal Comune di Pomezia in collaborazione con gli istituti superiori.
Il progetto intende proiettare la Città verso un futuro pensato e immaginato dai suoi stessi protagonisti, i giovani studenti cittadini di domani. In continuità con il progetto “Sol Indiges. Arte pubblica a Pomezia tra mito e futuro”, che ha messo al centro il mito della fondazione di Pomezia (Lavinium) attraverso la figura dell’eroe Enea, il progetto appena presentato poggia le basi sulle figure dei supereroi, portatori dei valori di devozione, rispetto e senso civico, tipici di chi sceglie di mettersi a servizio della comunità. L’iniziativa prevede la realizzazione di murales sulle pareti esterne delle scuole superiori di Pomezia, progettati e realizzati dagli studenti, che lavoreranno in rete e parteciperanno a corsi di formazione dedicati, in collaborazione con Solo e Diamond, streetartists di fama internazionale, scelti dalla direzione artistica del progetto affidata al liceo Picasso.
“Le opere saranno ispirate ai contenuti della Costituzione e dell’Agenda 2030, con l’obiettivo di trasformare l’esperienza artistica in atto formativo per gli studenti, di potenziarne i talenti e arricchire il loro percorso scolastico e umano”, hanno spiegato le assessore Miriam Delvecchio e Federica Castagnacci.
“Un progetto a cui abbiamo aderito con convinzione e che coinvolgerà circa 100 studenti di tutti gli istituti superiori – hanno dichiarato i Dirigenti scolastici – Un’esperienza irripetibile per le ragazze e i ragazzi coinvolti, che li guiderà in un processo artistico e formativo condiviso e partecipato, elemento ancora più importante dopo i due anni di pandemia appena trascorsi”.
“Entro il mese di giugno la nostra Città vedrà realizzati i quattro murales: opere d’arte contemporanea che vanno ad aggiungersi a quelle realizzate negli ultimi anni – hanno concluso il Sindaco Adriano Zuccalà e la vice Sindaco Simona Morcellini – Quello siglato oggi è un progetto importante che unisce cultura, formazione, partecipazione e cittadinanza attiva, che conferma la forza della collaborazione tra il Comune e le scuole, che contribuisce alla crescita del patrimonio artistico della Città, che valorizza l’arte contemporanea quale veicolo dei valori costituzionali. Un ringraziamento a Città Metropolitana di Roma Capitale, a tutti gli uffici comunali coinvolti, agli artisti Solo e Diamond, ma soprattutto ai Dirigenti scolastici e ai docenti che lavorano quotidianamente per mettere al centro studenti e studentesse, che rappresentano il futuro di tutti noi”.
All’incontro hanno partecipato anche la Presidente della Commissione Scuola e Servizi educativi Luisa Navisse, i Dirigenti scolastici delle quattro scuole superiori coinvolte e una delegazione di docenti e studenti.
Uff. Stampa comune di Pomezia
Vertenza Tim
Ci sono migliaia di posti di lavoro nel Lazio che vanno difesi fino alla fine trovando le giuste soluzioni. È questa la richiesta che l’UGL Lazio e la Federazione UGL Telecomunicazioni avanzano nei confronti dell’assessorato regionale rappresentato da Claudio Di Berardino, dopo lo sciopero che ha visto circa il 70% dei lavoratori aderire contro lo smembramento della società che genererebbe 10 mila esuberi tra impiegati diretti e 30 mila indiretti
“Al rappresentante della giunta laziale – spiegano il Segretario Regionale Armando Valiani ed il componente della segreteria Claudio Giuliani – chiediamo garanzie di un impegno qualora ci fossero tagli del personale. Occorre creare per le maestranze dei percorsi alternativi che non devono fermarsi agli ammortizzatori sociali ma devono prevedere anche un piano di impiego”.
Il sindacato si era già espresso contro qualsiasi delocalizzazione: “Lo spezzatino metterebbe a rischio l’intero sistema delle telecomunicazioni nazionale e soprattutto un dramma sociale per il rischio di perdita di posti di lavoro. La Tim per il nostro paese è una risorsa strategica e lo è ancor di più in questo periodo nel quale si sta tentando la strada dell’implementazione della digitalizzazione, fondamentale per lo sviluppo”.
Ugl Lazio