SIMPOSIO
Giuliana Bellorini
Coordinatrice corrispondente
del salotto sede del Simposio
Ci ritroviamo a metà settembre
In programma ci sono già argomenti pronti che sono stati rimandati per il sopraggiungere dell’estate. “Goya: Il sonno della ragione genera mostri”, è il titolo della serie di 80 incisioni (Los Caprichos) che ha stimolato il linguista Giancarlo Marchesini in collaborazione con lo storico Francesco Bonanni e lo storico dell’arte Antonio Silvestri ad indagare intorno a un fenomeno storico di decadenza che, alla luce di quanto avviene nella nostra società, ci obbliga ad una profonda riflessione.
Con acume profetico, il grande pittore spagnolo aveva raffigurato in queste incisioni, i disastri, le brutalità cui si può giungere con la latitanza della ragione.
La civiltà in quegli anni, siamo in pieno ‘700, aspirava con il suo progresso ad estendere a tutta l’umanità i benefici dei “lumi”. S’innalzava la “dea ragione” in sostituzione del sentimento religioso devozionale considerato frutto dell’ignoranza e di conseguenza si cancellavano i tradizionali valori morali.
Ma quel sogno di una ragione illuminata che aprisse l’umanità al progresso si è assopito in un sonno spaventevole.
Giuliana
UNA STRADA DA ADOTTARE
per la città ideata a fine ‘700 dall’abate Francesco Longano. Una città basata su l’uguaglianza e la fratellanza.
È nata così la mappa di Filopoli da un progetto di Alfonso Marino e Lello Agretti per coinvolgere tutti gli amici.
Ecco alcuni esempi:
Agretti Lello - piazzetta della Venie nza
dove qualcuno attende, dove qualcuno sempre viene
Tonino Falcone - largo del Fuoco
dove basta accendere un fiammifero per sognare
Magliulo Nicola - via del Canto
perché non possiamo che affidare ad esso l’esprimersi necessario dell’anima
Pepè Sciarrìa Roberto - via dei Suoni Del Mondo
ascoltarli significa creare un legame profondo tra una vita e l’altra e diventare veri uomini
M. Vittoria - via della Gentilezza
unica via per ricordare di essere civili e cedevoli l’uno verso l’altro, speranza di reciprocità condivisione e armonia
FILOPOLI
LA CITTÀ DEGLI AMICI
di Antonio Falcone
Era il 1796 e Francesco Longano immaginava di essere nel 1950.
L’illuminista napoletano, proveniente dal contado molisano, andò a vivere in sogno ai piedi del Matese, nella città di Filopoli.
In quella Utopia municipale, la cosa più bella che trovò fu la pace: “Non ci sono medici i quali ti prolungano i mali, né magistrati che ti spogliano, né causidici i quali accendono la fantasia degli ignoranti. Ma ci fiorisce in essa la quiete pubblica”.
Dopo più di due secoli, abitanti di una città accartocciata in un disilluso aldiquà, avremmo da fare nostro l’invito di quel filosofo a immaginare una città proiettata in un promettente aldilà.
Qui e ora ci viene incontro la speranza utopica a dirci che è architettonicamente possibile ed eticamente doveroso contrastare e fugare la distopica paura.
Domani, quando avremo rimosso la terra nei vasi sotto il sole, sorgerà davvero la città futura.
Sarà Filopoli, da vivere con la gentilezza sociale necessaria al movimento dei nostri mondi relazionali, fraterni, possibilmente felici.
OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
I NOSTRI MODI DI DIRE
Di buzzo buono, boomerang,
per il rotto della cuffia
di Giancarlo Marchesini
Di buzzo buono. Per quanto strano possa sembrare la parola “buzzo” significa, in fiorentino e romanesco, stomaco o pancia. Ma l’espressione che tutti conoscono “mettersi di buzzo buono” significa affrontare con entusiasmo un impegno, concludere con successo un compito.
Cosa ha a che vedere lo stomaco con il fatto di assolvere un impegno? Pensate alle trattorie di Trastevere, dove crapuloni di ogni età passavano ore e ore a rimpinzarsi di specialità ricche di calorie, come la carbonara, la trippa o la coda alla vaccinara. Quando i romani mangiano, lo fanno con un sacro furore, come se stessero assolvendo una missione, con un’abnegazione e un impegno fuori del comune. Ed è proprio l’idea dell’impegno che è alla base dell’espressione mettersi di buzzo buono.
Certo, gli odierni frequentatori di fast-food, che si ingozzano di cibi dubitosi nella loro oretta di pausa, sono lontani mille anni luce dal romano che porta (o portava) tutta la famiglia in trattoria per degustare specialità che sono un attentato dichiarato alla salute, un moltiplicatore del colesterolo pesante.
Il buzzo (la pancia) dei romani fa ormai parte del passato, almeno da un punto di vista linguistico. Quel che resta è un’espressione idiomatica che è a metà strada fra il serio e il faceto e che rientra in una tradizione, tutta italiana, fatta di impegno e istinti festaioli: rimpinzarsi di coraggio.
Il boomerang. Come tutti sappiamo il boomerang è uno strumento da caccia usato dagli aborigeni australiani. Grazie alla sua struttura, il boomerang permette di colpire la preda. In caso contrario, - se usato con maestria - torna indietro nelle mani del lanciatore. In modo assolutamente empirico gli aborigeni sono stati in grado di sviluppare uno strumento con caratteristiche aerodinamiche tali da permettere questa doppia funzione.
Mi servo di questo esempio per mettere in luce una distorsione culturale. Il fatto che il boomerang possa tornare indietro seguendo un tracciato ellittico viene interpretato, nella lingua di oggigiorno, come una minaccia, qualcosa che si ritorce contro chi l’aveva ideata. Nella teoria delle comunicazioni di massa si parla di effetto boomerang, per indicare uno slogan che si voleva persuasivo e che, per ragioni varie, risulta di effetto opposto rispetto a quello che si voleva ottenere.
Il modo di dire effetto boomerang è in fondo un’appropriazione indebita delle funzioni di uno strumento per la caccia che non tiene assolutamente conto delle intenzioni originarie degli aborigeni che, pur essendone gli inventori, non sono mai stati consultati in merito.
Per il rotto della cuffia. Per capire l’origine di questa espressione dobbiamo tornare ai tempi delle giostre medievali. I cavalieri che si affrontavano nelle giostre dovevano colpirsi orientando l’asta contro l’elmo. Se un cavaliere aveva perso l’elmo, il colpo poteva raggiungere la cuffia (un indumento protettivo indossato sotto l’elmo). Il colpo sulla cuffia veniva comunque considerato valido.
C’è un’altra spiegazione etimologica: nella giostra del Saracino, il cavaliere in gara, si lanciava al galoppo contro un bersaglio e doveva evitare di essere abbattuto dall'automa girevole contro il quale si gettava. Se il braccio dell'automa si metteva in moto colpendo il copricapo (cuffia) del cavaliere, senza però abbattere quest'ultimo, si diceva che il cavaliere ne era uscito per il rotto della cuffia, insomma, che ce l'aveva fatta nonostante la cuffia fosse stata colpita o rotta.
Quale che sia l’origine del modo di dire, uscirne per il rotto della cuffia significa "cavarsela a malapena" o "superare una situazione difficile alla bell’e meglio", per un soffio.
In conclusione: il buzzo, una parola desueta che ha acquisito un significato positivo, il boomerang, oggetto di una distorsione culturale, e la cuffia ad indicare una salvezza inaspettata. Tutte espressioni idiomatiche che arricchiscono il nostro inestimabile patrimonio linguistico.