UNA GUERRA
SENZA FINE /5
di Francesco Bonanni
La Storia del Popolo Ebraico è stata fatalmente cadenzata da tre episodi che costituiscono il filo rosso che collega le sue tragiche vicende: DIASPORA, GHETTIZZAZIONE, SHOAH’.
Se non si tiene conto di questa “drammatica triade” non si può pienamente comprendere quello che attualmente sta avvenendo in Palestina.
Compito dello Storico non è quello di esprimere giudizi che inevitabilmente scadrebbero in una fuorviante concezione manichea molto simile a quello che avviene nei dibattiti da “bar dello sport”.
I giudizi appartengono alla Politica che spesso però è anche condizionata dall’Ideologia.
Invece il dovere morale dello Storico consiste in uno sforzo condotto con la massima onestà intellettuale e indirizzato unicamente alla ricerca delle origini lontane degli avvenimenti del presente.
La DIASPORA (termine derivante dal greco che significa dispersione) ebbe origine dalla rivolta contro la dominazione romana nel 70 d.C. alla quale seguì una pesante repressione da parte delle truppe dell’Imperatore Tito che distrussero il Tempio di Gerusalemme e costrinsero gli Ebrei sopravvissuti a disperdersi nelle varie località dell’Impero. Privati del Tempio e non potendo più effettuare i sacrifici di animali prescritti dalla Legge di Mosè, gli Ebrei cambiarono alcuni aspetti delle loro Pratiche Religiose: l’ascolto della “parola di Dio” conservata in preziosi rotoli nelle Sinagoghe diventò il momento più importane.
Poi nel 380 d.C. l’Editto di Tessalonica dichiarò il Cristianesimo Niceno Religione Ufficiale dell’Impero Romano. Questo Editto rappresentò una svolta epocale in quanto trasformò il Cristianesimo da “Religione Tollerata” in “Religione di Stato”.
Un successivo provvedimento del 392 d.C. vietò di professare tutti gli altri Culti, compreso l’Arianesimo.
Infine nel 416 d.C. un Editto di Costantino stabilì che solo i Cristiani potevano accedere alle Cariche Pubbliche ed accedere ai ranghi dell’Esercito.
Quando il Cristianesimo divenne Religione di Stato la situazione degli Ebrei nella Società Romana peggiorò ulteriormente in quanto furono considerati responsabili della condanna di Gesù.
Essi pur potendo professare la loro Fede erano soggetti a varie limitazioni. A loro non era consentito costruire nuove Sinagoghe ma solo riparare quelle esistenti.
LA GHETTIZZAZIONE è consistita in una sorta di “Apartheid”: gli Ebrei a partire dal XIII secolo gli Ebrei che vivevano negli Stati Cristiani furono obbligati a vivere chiusi in “Ghetti” e a portare un segno distintivo di color giallo. I Ghetti erano aperti solo di giorno e chiusi dal tramonto all’alba. Il termine Ghetto deriva dall’omonimo campo di Venezia del XIV secolo. Nel passato nel quartiere dove gli Ebrei furono costretti a risiedere vi era stata una fonderia di rame che nel dialetto veneziano era chiamata “Geto”, cioè la gettata (colata) del metallo fuso, che i locali Ebrei Aschenaziti di origine tedesca con i loro suoni gutturali pronunciavano “Gheto”.
Il Ghetto era un domicilio coatto per gli Ebrei di varie origini (inizialmente da quelle tedesche, a quelle francesi e italiane) sorto a seguito di una disposizione della Serenissima del 1516 che lo destinava a sede del “Serraglio degli Ebrei”. Nel 1591 il Ghetto venne ampliato per accogliere gli Ebrei di origine levantina (Turchi e Greci) per poi nel 1633 subire un ulteriore allargamento per rimediare alla mancanza di spazi dovuta a una pesante situazione di sovrappopolazione.
Il Ghetto fu aperto solo nel luglio del 1797, con la caduta della Serenissima. (Continua)
I RACCONTI DAL FARO
IL PARADISO PERDUTO DEI “FIGLI DEI FIORI”
Nei trascorsi anni ’60 e ’70 le contestazioni negli Stati Uniti d’America contro le guerre (in specie, quella nel Vietnam iniziata nel 1955) mobilitarono milioni di persone in proteste e attività di disobbedienza civile, e furono il vero catalizzatore della rivolta giovanile diffusasi in tutto l’Occidente.
HAWAII - Nel 1969 un gruppo di tredici Hippies si erano rifugiati nella remota isola di Kauai (Arcipelago delle Isole Hawaii, USA) per allontanarsi dai violenti scontri esplosi sul Continente - specialmente nei “campuses” universitari - tra i pacifisti e le forze dell’ordine. Predicavano l’amore e la pace, ma non avendo danaro per sostenersi e non una dimora ove abitare, furono tutti arrestati (tra di loro, anche dei bambini) dalle autorità locali e condannati per vagabondaggio a novanta giorni di lavoro obbligato. Un residente dell’isola, Howard Taylor, fratello della famosa attrice cinematografica Elisabeth, pagò la cauzione per farli rimettere in libertà e concesse loro di utilizzare gratuitamente per accampamento (“camp”) un terreno di sua proprietà, che da allora fu conosciuto come “Taylor Camp”. Li lasciò completamente liberi, senza restrizioni, né condizioni né controllo.
“TAYLOR CAMP” - Negli ideali del pacifismo e del vivere semplice, per otto anni la piccola comunità visse in armonia senza avere un capo e senza seguire particolari leggi o dottrine religiose, restando appartata dal resto del mondo. Sorto al limite della giungla hawaiiana, sul bordo di un’ampia baia di fronte all’Oceano, Taylor Camp divenne per gli occupanti hippies un angolo di Paradiso: immersi nella Natura dal forte potere terapeutico, vivevano quietamente nelle improvvisate abitazioni (costruite sugli alberi, con il legname della vegetazione), sulle spiagge e in mare, nuotando al largo solitari o “surfando” la cresta delle onde. Giardinaggio, pésca, raccolta di frutti, vita in comune, erano gli altri impegni della giornata, durante la quale indossare un abbigliamento era puramente facoltativo. Nel giro di otto anni, nell’arco cioè della sua esistenza, la comunità arrivò ad avere sino a 120 occupanti, avendo attratto surfers, fuggitivi, famigliole, altri Hippies e veterani di guerra del Vietnam. Ma, quel sogno era destinato a svanire. Nel 1973 la Contea di Kauai decise di espropriare per pubblica utilità il terreno ove era sorto Taylor Camp per destinarlo a parco pubblico; e nel 1977 costrinse la comunità hippie ad abbandonare il sito, abbattendo ogni costruzione. Il nome di Taylor Camp scomparve dalle mappe geografiche.
IL PENSIERO HIPPIE - Questo breve racconto ci offre l’opportunità di soffermarci sul movimento hippie dei “figli dei fiori”, fenomeno socio-culturale giovanile apolitico, nato negli Stati Uniti negli anni del 1960 in reazione alla guerra (nel Vietnam), al consumismo e alle rigide regole dell’epoca. Fu caratterizzato dal rifiuto dei valori sociali convenzionali (non a caso fu chiamato “di controcultura”) e dall’adozione di stili di vita alternativi incentrati sulla pace, sull’amore, sulla sperimentazione. Si richiamava allo spirito di ribellione della Beat Generation degli anni del 1950 e agli ideali atarassici provenienti dall’Oriente, ma anche - è da dire - al pensiero dei primi bohémiens dell’inizio del XX Secolo. Infatti, nelle utopie hippies troviamo echi della “Lebensreform” (“Riforma della vita”), un movimento culturale attivo tra il XIX e il XX Secolo in Germania, che contrapponeva alla moderna società urbana e industriale uno stile di vita che guardava al ritorno alla natura, al naturismo, al vegetarianesimo, allo spiritualismo, al pacifismo, al ricorso a terapie non convenzionali.
“LOVE & PEACE” – “Amore e Pace” invocava al mondo il popolo degli Hippies, che cantava “Vinceremo” un giorno (“We Shall Overcome” some day). Un loro precursore fu Eden Ahbez (1908-1995, USA), compositore e musicista, seguace della “Lebensreform”, il quale, mentre viveva in una grotta nei pressi di Palm Springs (in California), scrisse nel 1947 una ispirata canzone, in cui i due versi finali dicevano: “[…] la cosa più grande che potrai mai imparare / è solo amare ed essere riamato” (“[…] the greatest thing you’ll ever learn / is just to love and be loved in return”).
Il Guardiano del Faro
RIAPERTURA SIMPOSIO ANNO 2025-2026
Lunedì 15 settembre - ore 16.30
in Via Venezia,19 - Lido di Cincinnato - ANZIO
“Il sonno della ragione genera mostri"
di Giancarlo Marchesini
Questa famosa frase di Goya fa riferimento a un’acquaforte inclusa, con il numero 43, in una serie di 80 incisioni intitolate Los Caprichos.
L’idea è che la ragione, lasciata libera di vagare senza disciplina, finisca per degenerare in immagini spaventose, i mostri appunto che popolano fantasie ataviche e ripugnanti.
Nel 1799 Goya non poteva evidentemente analizzare questi moti dell’animo da un punto di vista psicoanalitico ma le sue osservazioni aprono la strada a una riflessione sui processi creativi.
Pensiero laterale. Cos’è il pensiero laterale? La mente abbandona il rigore scientifico della logica e, in un flusso ininterrotto, passa liberamente da un pensiero all’altro. Un concetto si allaccia al successivo in una libera associazione di idee.
Al pensiero laterale si contrappone il pensiero verticale fondato sulla logica, quella, ad esempio, della geometria euclidea: un teorema precede e giustifica il seguente in un’architettura in sé perfetta e a prova di errori.
Il pensiero verticale, fondato sulla logica non offre un terreno fertile all’artista. L’artista ha bisogno di spaziare in campi sconosciuti, aprire nuovi sentieri, correre il rischio di prendere abbagli, di intraprendere un cammino errato.
Michelangelo e Leonardo: se la Pietà e il Mosè sono espressioni di un’arte compiuta (che è stata imparata e messa da parte), i Prigioni sono l’espressione di un tormento interiore, di un anelito verso qualcosa che trascenda la pura rappresentazione di quella che immaginiamo essere la realtà. Per converso Monna Lisa che si regge su un’equazione di piani sfalsati, di infinite allusioni nega anch’essa la pura e semplice logica.
Stiamo parlando di opere eccelse e non di quei mostri, che, secondo Goya, sono creazioni sfuggite al controllo e alla disciplina della ragione.
Ragione e fantasia. La verità è che la ragione deve, in un certo senso, pagare lo scotto alla fantasia, la mente dell’artista deve poter “lateralizzare”, prendere le mosse da un’intuizione che non è necessariamente fra le più ovvie.
Ci troviamo di fronte a quella categoria della logica che il fondatore della semiotica Charles Sanders Peirce definiva abduzione (e Aristotele prima di lui deduzione debole). L’abduzione comporta un elemento di incertezza, una possibilità di errore, ma è l’unico processo che può condurre a qualcosa di innovativo. Quando Sherlock Holmes ci dice “Togliete tutto quello che è impossibile e ciò che resta, per quanto improbabile, è la verità” non opera una deduzione, ma un’abduzione, ha individuato un elemento che stava sotto gli occhi di tutti e che permette di risolvere il mistero.
Una prerogativa dell’essere umano.
L’intento del nostro incontro è sondare la creatività che è alla base dei processi artistici nella consapevolezza che nessuna Intelligenza Artificiale potrà mai simulare i (fruttuosi) errori e le idiosincrasie di un essere umano.
Un capitolo a parte potrà essere dedicato ai veri mostri creati dalla latitanza della ragione. Possono essere deformazioni della realtà o deliri onirici. Si tratta in ogni caso di interpretazioni, o lateralizzazioni, o abduzioni che testimoniano dei modi in cui l’artista vede la realtà… o sogna l’irreale. Ma chi avrebbe il coraggio di affermare che Il Grande Drago Rosso di William Blake sia la creazione di uno schizofrenico?
Di questi appassionanti argomenti discuteremo con Francesco Bonanni il 15 settembre in occasione della riapertura annuale del Simposio. A presto.
Giancarlo Marchesini
giancarlo.marchesini@unige.ch