LE RICORRENZE SONO SEMPRE MOLTE
e tutte più o meno, sono legate a processi storici che hanno cambiato la nostra coscienza e che sarebbe giusto ricordare anche con il nostro esiguo contributo.
Ecco perché approfittiamo della disponibilità dei nostri amici studiosi per addentrarci nei mondi che decidono della geopolitica attraverso l’arte, la storia e la poesia.
Quest’anno ci aspetta la Russia.
E noi aspettiamo voi …
Giuliana
Domenica 2 febbraio - ore 17.00
RASSEGNA
CINEMA D'AUTORE
a cura di Giancarlo Marchesini
L’UOMO DELLE STELLE
Riprende la rassegna Cinema d’autore.
Ormai sapete tutti che l’obiettivo è presentare e discutere opere cinematografiche che per ragioni commerciali (audience, difficoltà di comprensione, orientamento culturale) non trovano posto nei palinsesti delle reti nazionali o delle pay-TV.
Lieto fine? No, grazie
E quale posto migliore del Simposio per affrontare opere di difficile lettura, che rifuggono dall’happy ending o che fanno riflettere, talvolta con il sorriso, talvolta con l’amaro in bocca? È questo il caso de L’uomo delle stelle, un film di Giuseppe Tornatore (1995) che si situa a metà strada fra il neorealismo e la commedia all’italiana. Neorealismo perché affronta temi sociali dell’Italia del dopoguerra, con lo sguardo al contempo partecipe e disincantato tipico di Tornatore. E commedia all’italiana perché riserva allo spettatore scene esilaranti (“Vitti ‘na crozza”, “Profilo dritto”, “Devo fare anche la musica?”, il tutto frammisto a interpretazioni estemporanee di Via col vento). Ma, invece di concludersi con un ammaestramento catartico alla De Sica (non vale neppure la pena di dirlo, penso a Ladri di biciclette) o una promessa alla Alberto Sordi (farò il bravo d’ora in poi), l’opera di Tornatore presenta sfaccettature della società italiana che abbiamo dimenticato o preferiamo ignorare: l’abbandono del meridione, le lotte sindacali, la riforma agraria, il latifondismo e lo strapotere delle cosche mafiose.
Sicilia, ovviamente
Come il celebrato Nuovo cinema Paradiso (anche lui assente dalle reti nazionali), L’uomo delle stelle è ambientato in Sicilia. Una Sicilia da dopoguerra, con povertà diffusa, ragazze con i pidocchi nei capelli, lussurie inconfessate ma vissute, e perfino qualche “scemo di guerra” (oggi con paludata ipocrisia parleremmo di disturbo da stress post-traumatico). Joe Morelli (interpretato da Sergio Castellitto) è un piccolo truffatore che gira per i paesini della Sicilia vendendo falsi provini e promettendo un fulgido futuro a Cinecittà. Le pellicole sono scadute e i provini non arriveranno mai ai talent scout di Roma. Morelli si serve di apparecchiature complete (fondali, esposimetri, spot, ombrellini, obiettivi) ma fatiscenti che, però, per il solo fatto di appartenere al mondo della celluloide, destano la curiosità e fanno baluginare sogni di carriera alle vittime della frode.
mertà e ingenuità
In una delle primissime scene del film Castellitto fa sosta sulla riva di un fiume per darsi una rinfrescata e vede un cadavere scendere lungo il corso d’acqua fra l’indifferenza (voluta, obbligata, omertosa?) dei braccianti locali. È un segno premonitore: perché verso la fine del film il protagonista verrà smascherato come un volgare truffatore (con una fedina penale piuttosto carica) e subirà un pesante pestaggio: non per i falsi provini ma per il fatto di aver usato una pellicola scaduta per filmare le onoranze funebri di un notabile del luogo. Come dire: inganna pure qualche donnicciola sprovveduta ma non gli uomini d’onore!
Categorie?
Non mi chiedete di dare un’etichetta a questo film, di declinarne il genere. Ricordo che nei primi anni ‘90 una rete francese decise finalmente di proporre la versione cinematografica de Il nome della rosa, film rimasto assente per anni dai piccoli schermi d’oltralpe nonostante fosse l’opera di una gloria nazionale, Jean-Jacques Annaud. Ciò che mi colpì maggiormente fu la descrizione sintetica che venne data del film da un diffuso TV-guide: “POLIZIESCO”. Di fronte a un’etichetta del genere, gli studi di Aristotele fatti dai pii frati benedettini, il secondo libro della Poetica (che tratta della commedia e del riso), le dispute e le disquisizioni religiose, la questione della povertà della chiesa svaniscono come i falsi provini di Castellitto. È vero, nel lontano 1327 Guglielmo da Baskerville conduce un’inchiesta per scoprire chi sta assassinando i frati di un convento benedettino. E visto che l’attore principale è Sean Connery il recensore è forse tornato con la memoria al personaggio di James Bond! Spero che Umberto Eco non abbia mai letto questa presentazione. Si rivolterebbe ancora oggi nella tomba!
L’ORIGINE DEL NOME RUSSIA
di Alessandro Evangelisti
Spunto
Il 19 Aprile scorso, il nostro amico del Simposio, Prof. Francesco Bonanni, ha tenuto una interessante e partecipata conferenza su La Gènesi del Regime Sovietico. Mentre il Prof. Bonanni parlava, mi tornava continuamente alla mente il nome Russia. Russia: dal XVI Secolo, nome di un territorio immenso che si estende nel Nord dell’Europa e dell’Asia. E quel pensare mi fece improvvisamente ricordare di alcuni miei appunti che avevo annotato, per preparare la traccia della storia di cui parlerò il 22 Marzo prossimo al Simposio (I Vichinghi in America nell’anno 1001). Apparentemente i due argomenti, quello di Bonanni (la Russia) e il mio (l’America), sembrerebbero non avere un legame. E, invero, credo proprio che una cosa in comune l’abbiano: i Vichinghi.
Indietro nel tempo
Dobbiamo tornare indietro nel tempo, al IX Secolo, in quella che gli storici chiamano Età Vichinga. I Vichinghi appartenevano a quelle popolazioni germaniche del Nord-Europa, i cui componenti erano chiamati dall’Europa Occidentale Normanni (Uomini del Nord). Dei Normanni, i Vichinghi erano quei guerrieri-navigatori stanziati sulle coste, al riparo dei fiordi, che con le loro agili navi erano spesso sanguinari razziatori, ma anche abili esploratori di Oceani, di mari e di fiumi, alla continua ricerca di vie commerciali e di nuove terre. Ciascuna delle tre etnìe vichinghe (norvegese, danese, svedese) ebbe una propria direttrice di espansione. I vichingo-svedesi, che guardavano verso Est, dal Mar Baltico si spinsero attraverso la rete fluviale dell’Europa orientale, sino a raggiungere i fiumi delle attuali Russia e Ucraina, e il Mar Nero, il Mar Caspio e Costantinopoli.
I Vichinghi svedesi
Secondo la più antica cronaca russa, La Cronaca degli Anni Passati (dell’anno 1116), i Vichinghi svedesi (chiamati Variaghi da Slavi e Bizantini e Ruotsi o Rus’ dai Finni), navigando lungo i fiumi, dal Mar Baltico giunsero nella regione intorno a Kiev (attuale Ucraina) nel IX Secolo, su invito delle tribù guerriere slave e finniche. Le tribù slave avevano fondato una serie di città, che singolarmente erano deboli di fronte ai popoli di céppo turco delle steppe, che abitavano più a Sud. “Il nostro Paese è grande e ricco, ma non vi è alcun ordine. Venite dunque, e regnate su di noi come prìncipi,” era stato il loro invito.
Ipotesi normanna
Fu così che i Vichinghi svedesi - come detto, chiamati anche Rus’ - presero il potere sull’intera zona, importante punto commerciale sulla via tra la Scandinavia e l’Impero bizantino. Secondo l’ipotesi formulata da alcuni storici tedeschi del XVII Secolo (Ipotesi Normanna, peraltro contestata da atri storici, prevalentemente russi), essi avrebbero contribuito alla nascita e all’affermarsi dello Stato monarchico medioevale di Rus’ di Kiev, sorto verso la fine del IX Secolo lungo le sponde del fiume Dnepr, in parte sui territori delle odierne Ucraina, Russia Occidentale, Bielorussia, Polonia, Lituania ed Estonia Orientali. Quando, al lento declino del Rus’ di Kiev dal 1054, si venne poi affermando tra il XIV e il XVI Secolo la supremazia del Principato di Mosca, quelle terre iniziarono ad essere definite “russe”: Regno Russo (XVI-XVIII Secolo); Russia Imperiale (XVIII-XX Secolo). Probabilmente dal seme linguistico per indicare “vichingo”.