Riceviamo e pubblichiamo le perplessità del professor Giampiero Castriciano in merito all’impianto previsto a Campo Jemini
A chi è utile un impianto fotovoltaico a Pomezia
Le emergenze e le crisi, spesso inventate, sono ormai diventate lo strumento attraverso il quale si tenta di scavalcare le regole democratiche per raggiungere obiettivi illogici e contraddittori. In nome dell’emergenza climatica e di un non ben definito concetto di “green”, si vuol far passare l’idea che tutto sia utile e indispensabile, anche i provvedimenti peggiori. Ma poiché non siamo proprio degli sprovveduti, riusciamo a capire come, in realtà, questa nuova forma di dittatura “tecnologica”, “sanitaria” ed “ecologica” non sia nient’altro che una strategia volta al consolidamento del mondo economico-finanziario, delle multinazionali e dei grandi agglomerati industriali.
In nome dell’emergenza climatica, della pubblica utilità e dell’urgenza, la Città Metropolitana di Roma, il 20 maggio 2024, con Determinazione Dirigenziale, approva e autorizza la costruzione di un impianto fotovoltaico di circa 10MW da realizzarsi a Pomezia, località Campo Jemini. Oltre 10 mila pannelli da installare su una superficie di 8 ettari di terreno recuperato in parte da ben 18 espropri forzosi. Il progetto è già stato dibattuto in una Conferenza dei Servizi dove, giustamente, il Comune di Pomezia ha espresso il suo parere negativo. Il tutto si è concluso in un tempo brevissimo evitando di coinvolgere le rappresentanze sociali.
Aprioristicamente, non siamo contrari alla produzione di energia elettrica da fotovoltaico. Di per sé, un impianto fotovoltaico, realizzato a celle di silicio determina un impatto ambientale abbastanza contenuto e privo di conseguenze gravissime. Tuttavia, se si tratta di un grande impianto, oltre a devastare il paesaggio che – ricordiamo – è protetto dalla nostra Costituzione, determina un enorme consumo di suolo ed effetti negativi sull’ecosistema e sull’economia. Il progetto in questione dovrebbe essere realizzato in una porzione di territorio, con presenza di radon, contiguo e confinante con la Riserva Naturale Regionale della Sughereta di Pomezia. Non esistono ancora studi scientifici che escludano possibili interazioni tra questo gas e i campi elettromagnetici del condotto elettrico sotterraneo lungo 5 Km. che dovrebbe essere costruito per questo impianto. L’Istituto di Geologia e Vulcanologia ha di recente bloccato un analogo progetto vicino al comune di Marino proprio per il pericolo di fuoriuscite di gas radon dal sottosuolo. Per il principio di precauzione, già solo per queste ragioni il progetto di Pomezia dovrebbe essere immediatamente bloccato.
Al momento non vi è alcuna certezza che le celle fotovoltaiche saranno di silicio. Esistono altri materiali per lo stesso scopo e a costi inferiori. Nel caso di celle solari in tellururo di cadmio, avremmo a che fare con un composto tossico che necessita di precisi accorgimenti di contenimento. In caso di incendio il composto si disperderebbe nell’ambiente con conseguenze gravi. Lo stesso vale per le celle solari in perovskite, biossido di titanato di calcio, il quale ha bassi costi di produzione ma necessita dell’impiego di piombo che sappiamo essere altamente inquinante.
Si obietterà che comunque saranno proprio queste fonti energetiche a ridurre il riscaldamento globale, l’inquinamento atmosferico e a fornirci quantità di energia a sufficienza e a bassi costi. Non è proprio così! Il tema dell’energia e dei costi ambientali ed economici ad essa correlati è molto complesso. Proviamo a dare un’idea di che cosa si cela dietro la sostituzione delle fonti energetiche, limitandoci al fotovoltaico.
L’energia solare si trasforma in energia elettrica grazie alle proprietà di alcuni elementi tra i quali il più importante è, attualmente, il silicio che viene estratto a costi elevati e con notevoli problemi di inquinamento ambientale. E’ un elemento molto diffuso in natura, il secondo dopo ossigeno e ferro. Per ottenere il silicio puro o altri suoi composti importanti è necessario un lungo e complicato processo di estrazione attraverso la lavorazione di enormi quantità di roccia con l’impiego di moltissima energia e l’uso di elevate temperature. Questi processi industriali sono a grande impatto sull’atmosfera e sul suolo. I costi sono ovviamente commisurati alla complessità della lavorazione, all’impiego di grandi quantità di energia e alla manodopera. A questi vanno aggiunti quelli relativi al trasporto del prodotto finito e ai vari assemblaggi. Un pannello fotovoltaico ha una vita media di circa 30 anni durante i quali necessita di manutenzioni tecniche e di lavaggi frequenti per mantenere costante il rendimento energetico. Terminata la sua vita, il pannello viene dismesso. Allo stato attuale non esiste un programma di recupero e riciclaggio che risulta molto complesso per i materiali contenenti silicio. Si calcola che nel 2050 vi saranno nel mondo dai 60 ai 78 milioni di tonnellate di rifiuti. Si tratta di circa 4 miliardi di pannelli solari. Ma questi pannelli non sono stati pensati perché le materie prime al loro interno possano essere estratte e poi usate di nuovo, quindi è probabile che in gran parte saranno triturati e confinati in discarica. Esiste un brevetto dell’ENEA per il riciclo dei materiali con silicio ma da questo processo si ricaveranno prodotti utili per le batterie al litio e non più per i pannelli fotovoltaici. Comprendiamo allora come i costi dell’energia da fotovoltaico saranno sempre sostenuti con la conseguenza di una maggiore spesa per il consumatore e per l’ambiente.
A fronte dell’energia pulita prodotta da un grosso impianto fotovoltaico dobbiamo registrare l’inquinamento dell’atmosfera e del suolo determinati per produrre quell’impianto. Osserviamo come il 70% dell’inquinamento atmosferico non è dovuto al traffico veicolare, all’utilizzo dei camini domestici e nemmeno alle piccole e medie imprese, bensì proprio all’attività di estrazione e produzione di materiali e manufatti.
Si comprenderà allora che: non è il fotovoltaico a risolvere il problema dell’approvvigionamento energetico, che: comunque anch’esso, seppure indirettamente, è responsabile dell’inquinamento dell’atmosfera e che: non esiste nessuna urgenza che ci induca a ricorrere a questa fonte costruendo grandi impianti i quali presentano non poche incognite. Sostenere che la transizione energetica si attui in tempi brevi è un’illusione. Essa sarà possibile solo se, gradualmente, si sperimenteranno e si diffonderanno nuovi sistemi di produzione dell’energia attraverso fonti rinnovabili o quasi inesauribili come, ad esempio, la fusione nucleare a freddo. In realtà, il problema di fondo consiste nella difficoltà di convincerci che l’unica via di uscita consiste nel rivedere il nostro modo di produrre e soprattutto di consumare. Non esiste soltanto il problema energetico e quello del riscaldamento globale. Vi sono tante altre emergenze delle quali, tuttavia, si preferisce non parlare.
Le ragioni del dissenso ai mega impianti fotovoltaici sono essenzialmente economiche, ambientali, sociali e soprattutto strategiche. Le alternative esistono e molte di queste andrebbero proprio nella direzione giusta per modificare il nostro modello di consumo e di produzione. Grazie alla conversione in legge del Decreto Milleproroghe 162/2019, sono state introdotte anche nel nostro Paese le “Comunità Energetiche Rinnovabili” previste dalla Direttiva Europea RED II (2018/2001/UE). Sono una sorta di associazione tra cittadini, un sistema energetico che integra fra loro diverse tecnologie ad alta efficienza al servizio di diversi utenti finali. Lo scopo è ottimizzare l’interazione tra consumo e produzione locale dell’energia. La loro diffusione permetterebbe di proporre nuovi modelli socio-economici incentrati sulla sostenibilità e la circolarità, senza ricorrere all’utilizzo dei combustibili fossili. Le comunità energetiche sono senza fini di lucro e come scopo hanno quello di ridurre lo spreco energetico e di produrre un bene di primaria importanza a prezzi concorrenziali per soddisfare il fabbisogno del territorio al massimo risparmio. Tutti i membri della comunità sono impegnati nelle fasi di produzione, consumo e scambio dell’energia, promuovendone una gestione sostenibile all’interno di un nuovo modello economico. I pannelli solari potrebbero essere installati sui parcheggi pubblici e su quelli dei supermercati, sui tetti dei capannoni e delle case e di tutte le nuove costruzioni nonché sugli edifici pubblici.
La decentralizzazione della produzione di energia smantella i grandi complessi monopolistici e speculativi a vantaggio dell’ambiente, del cittadino e degli enti locali. Insomma, è un sistema di risorse energetiche con una forte differenziazione delle fonti anche in rapporto alle risorse locali a disposizione in cui la gestione democratica è garanzia di trasparenza, partecipazione e tutela del diritto dei cittadini ad usufruire di un bene essenziale a costi non speculativi.
La diversificazione delle fonti, l’oculata gestione della produzione e del consumo di energia, la diretta corresponsabilità di tutti i membri della comunità determina considerevoli risparmi che vanno a vantaggio dei cittadini e delle attività locali. Il fatto che le fonti di approvvigionamento siano assai vicine al luogo di utilizzo dell’energia determina un abbassamento dei costi per la costruzione delle linee di distribuzione, minori dispersioni di linea dell’elettricità e minore traffico veicolare. Il risparmio di energia, di per sé, determinerebbe un abbassamento complessivo dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo a beneficio dell’allungamento di vita delle risorse naturali, di una maggiore tutela degli ecosistemi e della salute pubblica. La diminuzione del consumo di suolo andrà a vantaggio dell’agricoltura, del paesaggio e della creazione di parchi e sistemi naturali. I distretti energetici stimolano la collaborazione tra le persone, l’aggregazione sociale e l’inclusione, promuovono la consapevolezza della sostenibilità ambientale ed urbana, l’educazione ambientale, l’integrazione con le imprese del settore manifatturiero energetico, inducono al rispetto delle regole della natura, sollecitano una nuova attenzione per le risorse naturali ed una nuova cultura del consumo più responsabile e meno voluttuario.
Attualmente in Italia esistono già 100 Comunità Energetiche e Configurazioni di Autoconsumo Collettivo mentre altre se ne stanno progettando. Si prevede che alla fine del 2025 vi saranno in Italia quasi 40 mila comunità energetiche che coinvolgeranno 1,2 milioni di famiglie, 200 mila uffici e 10 mila PMI.
Prof. Giampiero Castriciano
Docente di Matematica e Fisica
Campo Jemini subisce
Campo Jemini è condannato a subire, fin dalla sua nascita a tanti, anzi, troppi problemi, non ultimo quello del Fotovoltaico.
Dopo aver letto l’articolo a pag. 8 del Pontino Nuovo N°14 - 1/31 Agosto 2024, una idea di come risolvere il problema potrebbe esserci ed è questa:
Visto e considerato che non si vuole dare ragione agli abitanti di Campo Jemini; ecco cosa si potrebbe fare:
Ci sono a Campo Jemini, a disposizione, più di otto ettari di terreno dove poter installare i 10.000 pannelli fotovoltaici e cioè “ i tetti delle case del quartiere”, così facendo si salva il terreno dai pannelli sterili e nel contempo può essere utile per seminare grano, piantare vitigno, alberi da frutta, ortaggi ecc. non facendo inaridire la terra e nel contempo produrre energia elettrica tramite i pannelli solari installati nei tetti delle case. Signor Sindaco, la sua Amministrazione sta lavorando bene, non disperda ciò che di buono ha fatto, dia ascolto alla gente; l’idea di mettere i pannelli sui tetti , non è solo mia, ma di tante persone che avendo pur casa, non hanno la possibilità di installare a proprie spese, i pannelli sul tetto; che comunque, la società installatrice produrrà sempre, tanti soldi,... più di quanto vorrebbe; anche perché non dovrà “sborsare” soldi per l’occupazione del tetto e, nel contempo, lasciando libero il terreno, gli animali e la natura seguiranno la loro vita naturale, le Lepri ritorneranno ad abitare la zona insieme alle Volpi, che non tanto tempo fà si incrociavano di notte mentre attraversavano la strada di via delle Orchidee quando era ancora sterrata.
Vito Fundarò