IL SIMPOSIO
LA TEMPESTA
Una luce viene da lontano e ai naviganti intenerisce il cuore. Così vorremmo sperare noi tutti in balìa di questa tempesta. E se pure sbattuti di qua e di là, un faro in lontananza ci illumina di speranza, ci rassicura che siamo sulla rotta giusta. Facciamo attenzione agli scogli, ai marosi che potrebbe rovesciare la nostra navicella. Dante dal suo viaggio nell’oltretomba è tornato rigenerato e illuminato; Dostoevskij dal ‘sottosuolo’ ha compreso del cuore umano la potenzialità di trasformasi attraverso l’esperienza del bene e del male. Anche noi, forse potremmo raccontare questo viaggio con un po’ di nostalgia quando ritorneremo alla normalità e riprenderemo le nostre occupazioni quotidiane. Come per il patriota Silvio Pellico di cui si ricorda in questi giorni la data della sua scomparsa, il 31 gennaio 1854 che dopo 10 anni di catene nello Spilberg varcando la frontiera per tornare in patria pensa con emozione al sorriso benevole degli abitanti del paese ‘nemico’e alla pietà per le sue sofferenze che gli umili carcerieri tradivano nella loro terribile mansione.
E infine, il messaggio di Primo Levi che dopo Auschwitz divenne un testimone ‘attivo’ rielaborando la terribile memoria fatta di estrema crudeltà opposta all’estrema passività. Attraverso la scrittura ne indagò l’origine e il suo emergere incontrollato, ma per giungere poi a sostenere negli anni successivi il suo credo nell’inestinguibile ‘nobiltà’ dell’uomo, quella che si realizza nel fare e agire perché: «[…] amare il proprio lavoro, costituisce la migliore approssimazione alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono».
Giuliana
Prova anche tu,
una volta che ti senti solo
o infelice o triste,
a guardare fuori dalla soffitta
quando il tempo è così bello.
Non le case o i tetti, ma il cielo.
Finché potrai guardare
il cielo senza timori,
sarai sicuro
di essere puro dentro
e tornerai
ad essere felice.
Dal Diario di Anne Frank
(1929-1945)
I FARI
di Alessandro Evangelisti
UOMINI E FARI - Secondo l’opinione di molti, i “Fari” - come li abbiamo conosciuti - non hanno un futuro, sia perché sempre più automatizzati e gestiti a distanza, sia perché la tecnologia ha fornito ai natanti sofisticati dispositivi per il controllo della rotta. Si avvierebbe al tramonto anche la romantica figura del guardiano del faro, il farista (persona idealizzata come solitaria e misteriosa dall’immaginario collettivo), che aveva scelto il mare per un senso di libertà, per vivere in un mondo fatto di silenzi, di pace, di gabbiani come amici, e di quella solitudine che non pesa quando è voluta come forma di vita. “Uomo libero, amerai sempre il mare […]” cantava il primo verso de “L’Uomo e il Mare”(in I Fiori del Male), del poeta francese Charles Baudelaire, (1821-1867).
LUX NAUTIS SECURITAS - Facevo quelle considerazioni mentre sfogliavo lentamente, perdendomi in stupendi panorami marini, le pagine illustrate di un volume sui “Fari” che mi era stato donato a Natale. E rivedevo con gli occhi della mente quella luce - nei tempi antichi, un semplice braciere ed ora l’abbagliante e intermittente “lanterna” del faro - che nelle notti di tempesta lanciava un sicuro avviso ai marinai: “Stai lontano!” oppure “Vieni da questa parte!”, per mettere in guardia contro rocce e secche o per guidare in un porto sicuro. Proprio per ciò il motto dei “faristi” è “Lux Nautis Securitas” (“Luce, sicurezza ai naviganti”). Tuttavia, in epoche oscure, poteva accadere che una tale luce fosse a volte usata malevolmente, non per aiutare, ma per ingannare e causare naufragi. Narra la scrittrice inglese Daphne du Maurier (1907-1989) nel suo tenebroso romanzo “La Locanda Jamaica” (“Jamaica Inn”), ambientato nel 1815 sulle selvagge coste della brughiera della Cornovaglia, che contrabbandieri attiravano le navi sugli scogli con falsi segnali notturni per farle naufragare, depredandole del carico dopo aver ucciso l’equipaggio.
EVOLUZIONE - Ogni faro è dotato di una bellezza particolare (numerosi sono infatti le opere letterarie ed i dipinti che lo hanno a soggetto). Al contrario dei fortini militari, offre la sensazione di abbellire il paesaggio costiero con l’eleganza e la solidità della sua struttura, evolutasi nel tempo grazie ad una branca della scienza, la “farologia”, che ne studia la progettazione. La costruzione dei fari moderni, nella loro forma in pietra cilindrica e affusolata, decretata come la più affidabile, è dovuta agli studi di John Smeaton (1724-1792), ingegnere e fisico britannico. Smeaton la ideò per ricostruire negli anni ’50 del XVIII secolo il Faro di Eddystone su uno scoglio in mare aperto, al largo della città inglese di Plymouth, in Cornovaglia.
Nel Continente americano, gli Inglesi e gli Olandesi costruirono i primi fari sulla costa orientale durante l’epoca coloniale (il primo fu al porto di Boston, nel 1716); se ne aggiunsero, in seguito, a centinaia, lungo le coste dei Grandi Laghi e sul litorale dell’Oceano Pacifico. Anche le coste e i laghi europei sono costellati da una gamma di fari dagli stili diversi (le costruzioni a torre, che li avrebbero caratterizzati, sono state sporadiche sino alla fine del 1700), e sono presenti anche in paesi senza sbocchi sul mare, come la Svizzera e l’Austria.
A BORDO! – Ma immaginiamo ora di andare, con la nostra barca a vela, a vederne alcuni di persona, imbarcandoci per l’Emisfero Australe lungo la rotta della Golden Globe Race, la famosa gara di circumnavigazione in solitaria del Globo. Salpati da Plymouth in Inghilterra, scenderemmo verso il Sud dell’Atlantico Meridionale. Nel doppiare il Continente africano, faremmo rotta obbligata (per via dei vènti) verso Oriente, e passeremmo dinanzi al Faro del Capo di Buona Speranza e al Faro di Capo Agulhas (ambedue in Sudafrica). Proseguiremmo quindi verso Est lungo l’Oceano Indiano, oltrepassando il Faro di Capo Leeuwin (Australia Occidentale) e il Faro di Sud-Est in Tasmania (Australia Meridionale) per attraversare l’Oceano Pacifico sino al Faro di Capo Horn (Terra del Fuoco, Cile). Da lì, infine, punteremmo decisamente a Nord per risalire l’Atlantico e, dopo aver superato l’Arcipelago delle Azzorre, saremmo di nuovo in Inghilterra, con il Faro di Eddystone a salutarci.
IL FARO DI CAPO D’ANZIO – Uno dei più belli di tutta la regione, fu fatto costruire per volontà del Pontefice Papa Pio IX (1792-1878) per migliorare i servizi di segnalazione costiera. Il luogo prescelto fu lo sperone roccioso della Riviera di Ponente, suggestiva posizione sovrastante i resti dell’antica villa dell’Imperatore romano Nerone, originario di Anzio. I lavori, iniziati nel 1860, furono portati a termine nel 1866. La lapide in marmo presente all’interno del Faro lo ricorda, unitamente alla dedica ed allo scopo:
PIVS IX PONT MAX
DEIPARAE IMMACVLATAE
PRO SALVTE NAVIGANTIVM
ANNO MDCCCLXVI
Pio IX Pontefice Massimo
Alla Immacolata Madre di Dio
Per la Sicurezza dei Naviganti
Nell’Anno 1866
Il Faro divenne effettivamente operativo solo nel 1870.
La lanterna del Faro di Capo d’Anzio è posta a 21 metri di altezza su un torrione merlato; dispone di un meccanismo di rotazione multiplo azionato da un motore elettrico che, dotato di una vite senza fine, mediante un sistema di moltiplica su due ruote dentate, fa ruotare l’ogiva intorno alla lampada alogena da 1000 watt che è invece fissa cilindrica e permette di proiettare due fasci di luce verso il mare, ciascuno a 90° dall’altro. La camera ove è alloggiata l’ogiva ha due finestre aperte solo verso la porzione di costa da cui il faro deve risultare visibile.