che andavano dette. Ho scritto della mia gente per rendere onore alla mia gente.»
Vi osservo lavorare
compagni di malasorte
non mi resta che vergognarmi
della mia impotenza.
Nessuno sa di noi
siamo solo ombre sottoterra.
Sebbene tutte le forme di esistenza siano inevitabilmente soggette al dolore, è da questo processo di comprensione del dolore della vita di miniera che nasce la "nobile verità ed impegno" di quest’opera poetica.
Manlio Massole, ha sperimentato in modo diretto ciò di cui scrive, tuffandosi ogni giorno, incurante del pericolo, nell’abisso della miniera, assetato di giungere a vedere quella "verità" che si può solo vivere in prima persona. Rinunciando a se stesso, ha preso la croce non per un giorno ma per vent’anni […]
IL SENTIMENTO DELLA MORTE
Per andare in miniera
bisogna scendere… Sottoterra.
All’imbocco del pozzo
si lasciano il sole e le nuvole, i boschi e le pernici.
Si lasciano la moglie e i figli.
Solo Dio, forse,
ci si porta appresso
nella parte più intima di noi […]
Questo trasmette il Massole aiutandoci con la sua esperienza esistenziale, […]. Non evitare nulla: scendi in profondità, questo è l'imperativo, nell'abisso di ogni sentimento, di ogni emozione, di ogni esperienza l'esistenza ti offra: solo così si può affiorare alla vita, e vederla dall'altra sponda, non più divisa in dualità, apparentemente in contrasto tra loro. Non si può cercare di capire la miniera, entraci e vivila. Come di ogni sentimento o situazione abbi di ogni cosa un’esperienza concreta. L’equilibrio è un qualcosa che deriva dall’esperienza di tutti gli opposti della vita. Luce e buio, tristezza e gioia, materia e spirito è questo il segreto dell'equilibrio:
la necessità di riconoscersi,
nelle otto ore di lavoro,
materia pura
rimandando l’umanità alle ore del riposo,
all’incontro ogni giorno meraviglioso e inaspettato,
con la moglie e i figli.
Questa ricerca nasce in occasione della visione di alcuni video e fotografie realizzati agli inizi degli anni 2000 da Renzo Ridolfi sulla trascorsa realtà mineraria del Sulcis Iglesiente della Sardegna, conclusasi nel 1995 con la chiusura dell'ultima miniera.
LA QUARANTENA
di Francesco Bonanni
A causa le note e tragiche recenti vicende provocate dal Coronavirus purtroppo è tornato alla ribalta un termine che, almeno in Europa ed in tutti gli altri Paesi sviluppati, sembrava relegato ad un lontano e praticamente dimenticato passato: la Quarantena.
Termine di derivazione veneziana: la “Quarantina”, che stava ad indicare un totale isolamento di quaranta giorni di navi e persone prima di accedere alla laguna della Repubblica di Venezia all’epoca della “Peste Nera”.
Morbo che, provenendo dal lontano Oriente, imperversò in tutta Europa tra il 1347 e il 1350 e che causò la morte di circa il quaranta per cento della popolazione. L’adozione di misure preventive dirette a prevenire il diffondersi del contagio di malattie infettive particolarmente pericolose risale addirittura ai tempi antichi. Si trovano esempi nella stessa Bibbia a proposito della diffusione della lebbra. Anche nell’Antica Grecia sembra che fossero introdotte misure di isolamento per evitare la contaminazione di patologie pericolose durante epidemie di varia natura. Nel passato varie furono le occasioni che richiesero l’adozione di una misura estrema come la Quarantena: dalla diffusione della lebbra a quella della sifilide nell’Europa della fine del XV secolo, all’arrivo della Febbre Gialla in Spagna all’inizio del XIX secolo e del colera asiatico nel 1831.
Venezia nel 1403 fu la prima ad organizzare un lazzaretto su una piccola isola contigua alla città, seguita da Genova solo nel 1476. Nel tempo si verificarono altre situazioni nelle quali si rese necessario l’adozione dello strumento della Quarantena. Uno dei più recenti casi fu quello relativo ai primi Astronauti che raggiunsero la Luna. Al loro rientro sulla terra furono messi in quarantena presso un Laboratorio di Ricezione Lunare appositamente approntato. L’origine della scelta relativa ad un isolamento forzato di quaranta giorni di solito viene fatto risalire addirittura ad Ippocrate che individuò le patologie particolarmente acute e tipicamente contagiose, che hanno un periodo di incubazione di circa quaranta giorni, distinguendole da quelle sicuramente croniche. Altra scuola di pensiero la durata di isolamento a scopo preventivo la fa derivare addirittura dal Vecchio Testamento, nel quale è frequente il ricorso al numero “Quaranta”.
Ma molto probabilmente tale intervallo di tempo fu adottato perché nel Rinascimento fu notato che dopo quaranta giorni gli individui colpiti da malattie pericolose e contagiose o guarivano o morivano.
A proposito della quarantena è interessante riportare alcune vicende legate alla peste che nel 1630 si diffuse dall’Oriente in tutta Europa e che fu descritta dal Manzoni nel suo celebre romanzo “I Promessi Sposi”.
Nel XVII secolo il porto di Livorno era divenuto, grazie alla politica di apertura del Granduca di Toscana, un’importante base navale sia mercantile che militare dell’Inghilterra prima e anche dell’Olanda poi. Durante l’epidemia di colera che imperversò all’epoca, le Autorità Granducali emisero una serie di provvedimenti restrittivi rappresentati dalla quarantena che si scontrarono con l’ostilità dei Capitani dei vascelli nordici contrari ad ogni limitazione dei loro movimenti. A quell’epoca la politica sanitaria degli Stati Italiani, in quanto più avanzata rispetto a quella degli Stati Nordici, si scontrò violentemente con l’opposizione della mentalità dei comandanti delle navi di questi Paesi. Questo per ricordare il ruolo svolto dal nostro Paese che, pur diviso politicamente, anche in quell’epoca fu in grado di impartire una lezione di civiltà a Stati che si accingevano a diventare delle Grandi Potenze.
I VICHINGHI IN AMERICA NELL’ANNO 1001
di Alessandro Evangelisti
UNA SCOPERTA ARCHEOLOGICA - Nel 1960 i coniugi norvegesi Helge e Anne Ingstad iniziarono uno scavo archeologico sulla punta Nord dell’Isola di Terranova (Canada), presso la baia de L’Anse-aux-Meadows (La Baia delle Meduse). La campagna di scavo durò vari anni e portò alla luce un antico sito vichingo-norvegese risalente all’inizio dell’XI Secolo che è stato classificato nel 1978 Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. Il sito conserva i resti di un villaggio composto da 8 edifici, tra cui una fucina e una segheria per un cantiere navale.
CONFERMA DELLE SAGHE ISLANDESI – La scoperta archeologica degli Ingstad ha pertanto comprovato la veridicità di quanto manoscritto in due saghe islandesi del XIV Secolo, la Saga di Erik il Rosso e la Saga dei Groenlandesi, che narravano di viaggi dei Vichinghi ad una terra incognita più ad Occidente, da loro chiamata Vinland (Terra del Vino, per l’abbondanza di viti ed uva selvatica che vi trovarono). Le due saghe infatti - oltre a citare la scoperta nel 982 da parte di Erik il Rosso della Groenlandia - descrivevano alcune spedizioni condotte dai suoi figli all’inizio dell’XI Secolo dalla stessa Groenlandia, ormai colonizzata, sul Continente americano. Ma, chi erano i Vichinghi? La Storia ci dice che l’Europa Occidentale chiamava normanne tutte quelle popolazioni scandinave e germaniche del Nord, accumunate da una stessa lingua, la Lingua Norrena; e che, di tali popolazioni, i Vichinghi erano le genti normanne insediate specificamente nei fiordi, appartenenti a tre diverse etnìe: Vichingo-norvegesi, Vichingo-svedesi, Vichingo-danesi.
I VIAGGI OCEANICI DEI VICHINGHI NORVEGESI – Dal IX al XII Secolo l’arte nautica vichinga raggiunse un grado di eccellenza. Navi dalla chiglia possente e dalla struttura e rivestimento flessibili - geniale combinazione di robustezza ed elasticità - potevano attraversare mari ed oceani, come anche navigare sui bassi fondali dei fiumi ed essere utilizzate quali navi corsare. Con tali navi, i Vichinghi norvegesi raggiunsero le Isole Fær Øer poco prima dell’800, l’Islanda verso l’870 e la Groenlandia verso il 982. Nell’anno 1001, raggiunsero l’America Settentrionale e l’Isola di Terranova – che, come detto, chiamarono Vinland - ove stabilirono per alcuni anni un insediamento. Attraversavano l’Atlantico senza bussola - non ancora inventata ad Amalfi - utilizzando la tecnica della “navigazione astronomica” (di notte veleggiando con la Stella Polare ad angolo retto sul fianco di tribordo e di giorno osservando l’azimut del Sole).
LEIF ERIKSSON, PRIMO EUROPEO IN AMERICA (nel 1001) – La Saga dei Groenlandesi racconta che l’islandese Leif Eriksson, secondo figlio di Erik il Rosso, saputo di una terra sconosciuta al di là della Groenlandia, raccolse un equipaggio di trentacinque uomini e vi partì nell’Estate del 1001. Incontrò un nuovo Continente: approdò dapprima all’Isola di Baffin, che chiamò Helluland (Terra delle Pietre Piatte, per le estese lastre di ardesia); riprese il mare e trovò la costa del Labrador, che chiamò Markland (Terra delle Foreste); di nuovo riprese il mare e veleggiò verso Sud, approdando a Nord dell’Isola di Terranova (la Vinland). Quest’ultima terra gli sembrò accogliente e ricca di risorse (uva, salmoni, pascoli). Vi si fermò e costruì un piccolo villaggio.
I VICHINGHI LASCIANO LA VINLAND – A quello di Leif, seguirono negli anni dal 1004 al 1014 i viaggi di altri suoi fratelli. Tuttavia, i tentativi di colonizzare quelle terre rimasero infruttuosi. Dal 1020, nelle cronache islandesi non troviamo più notizie di viaggi, anche episodici, dalla Groenlandia alla Vinland. La rinuncia vichinga al tentativo di stabilire sul suolo americano un insediamento duraturo fu dovuta soprattutto all’atteggiamento ostile dei nativi (che i Vichinghi chiamavano con disprezzo skraelings, cioè selvaggi, miserabili), i quali, respingendo dal loro territorio gli europei, godettero dell’isolamento sulla loro terra per quasi cinquecento anni ancora.
Questo incontro è stato rimandato a data da stabilire