Basta polemiche
I calcoli strumentali lasciamoli a presunti leader nazionali in crisi di visibilità e usciamo dalla campagna elettorale permanente, almeno durante questa crisi. In queste settimane abbiamo sospeso l’attività politica, per dare una mano nel nostro piccolo, per stare vicino a chi è più in difficoltà, o anche solo per stare in silenzio in un momento così drammatico. Non possiamo tollerare però che dal Comune si continui a strumentalizzare qualsiasi cosa. Si era detto di non fare polemica, eppure ad ogni comunicato istituzionale non si perde occasione per fare critiche sterili.
È evidente a chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale che i famosi 400 milioni stanziati dal Governo sono destinati a coprire le necessità urgenti di chi è più in difficoltà, certo non sono per tutti i cittadini. Sicuramente si può pensare che ci sia ancora molto da fare, ma anche noi volendo avremmo potuto criticare qualcosa nell’azione del Comune di Anzio. Non lo abbiamo fatto, perché tutti sappiamo che si sta facendo il possibile su ogni fronte e che le risorse vanno destinate soprattutto a chi sta peggio, dato che questa crisi non la stanno pagando tutti nello stesso modo. Oggi, come ieri e come domani, crediamo che le politiche pubbliche debbano combattere le disuguaglianze sociali e guardare innanzitutto agli “ultimi”.
Non stiamo qui a difendere l’azione del Governo, della Regione o di nessun altro. Crediamo che tutti, Comune compreso, stiano facendo quanto possibile nei limiti delle possibilità date da una situazione oggettivamente senza precedenti. Continuiamo a lavorare tutti senza strumentalizzare, perché questo è l’unico modo per non “mortificare una città”.
Alternativa per Anzio
Nei momenti di tensione e di crisi un popolo si ritrova intorno ai valori identitari
Un canto tutto italiano
Un’onda persistente di opinione, col sottofondo di una stampa ben addestrata ideologicamente, ci vuole far credere da anni, che sentirsi orgogliosi della propria identità nazionale sia sintomo di razzismo. Difendere la propria cultura, le proprie tradizioni, la propria religione e la propria storia sono diventate ragioni di xenofobia. In un convegno cui ho partecipato, qualche tempo fa, un mio riferimento all’Italia come alla mia Patria ha provocato uno scambio di sorrisetti fra due intellighenti che partecipavano al convegno. Nonostante che tesi scientificamente dimostrate, e non ipotesi, dimostrino che è in atto un articolato piano internazionale per sovvertire i valori giudaico-cristiani del mondo occidentale, il solo farne cenno causa ilarità da parte dei fautori di un universalismo addomesticato che pascola in orticelli senza vegetazione.
Poi arriva un pericolo realmente universale che ci attacca dall’esterno, penetra nei gangli della nostra struttura organizzativa e ne distrugge meccanismi essenziali e che succede? Riscopriamo il nostro spirito di appartenenza, il nostro essere popolo con la stessa storia e con le stesse ragioni identitarie. Ci ritroviamo per combattere insieme una battaglia che solo insieme si può vincere. E non lo facciamo perchè istigati da una guida illuminata anzi lo facciamo anche per sopperire agli errori di chi decide le sorti del nostro Paese. Mentre 21 ministri della Salute si scontrano col Governo centrale, mentre i Prefetti non sanno piu a chi dare i resti, mentre i sindaci decidono di dichiarare il proprio comune zona rossa, mentre i Presidenti di Regione prendono decisioni in proprio, i sindacati dichiarano lo sciopero in tempo di guerra, il Ministro degli Esteri è alla ricerca di mascherine, in un contesto in cui la risposta delle istituzioni è decisamente caotica, il Presidente del Consiglio emana decreti contraddittori ed il Parlamento è, di fatto, sospeso, gli italiani si ritrovano. Dalle finestre della propria abitazione, dalle onde radio delle emittenti locali, sulla pagine Facebook o nei messaggi di Whatsapp ci si ritrova Italiani e si cantano insieme l’inno nazionale e le canzoni di Toto Cotugno e di Celentano. Dovrebbero meditare i fautori dell’universalismo del tipo di quello che stava tanto a cuore a Cecile Kyenge che inneggiava agli italiani come popolo di meticci. Certo, non è l’appartenenza razziale che ci unisce, anche perchè tante sono le influenze etniche che ci fanno essere quello che siamo oggi, ma è la cultura, quella con la lettera minuscola, quella della storia comune, della comunanza con le grandi menti che questa gente ha espresso nel mondo delle arti figurative, della musica, dell’artigianato e della letteratura. Quelli che cantano insieme lo fanno per ritrovare, nel loro canto, la comunanza della lingua comune, le immagini che la canzone evoca; proprio come chi sente un piccolo brivido nell’evoluzione delle Frecce Tricolori e dell’italianità che disegnano nel cielo. Questa bruttissima esperienza avrà un effetto catartico per il mondo e costituirà per tutti coloro che l’avranno passata indenni un momento di transizione. Vi sarà un prima del Covid 19 e un dopo il Covid 19 e la gente tornerà ad una normalità in modo molto graduale e con le ossa rotte. Tutti ne usciranno cambiati e nessuno potrà più negare il grande valore di quando si cantava dalle finestre alla ricerca della nostra comunità.
Sergio Franchi